ANPAL Servizi

ANPAL Servizi | Lavoro “fuori contesto”

22 July 2021

L’indagine promossa dalle CLAP in ANPAL Servizi rappresenta una risposta a un bisogno diffuso di partecipazione e di scambio di conoscenze dei lavoratori e delle lavoratrici che, a partire dal mese di marzo 2020, hanno subito una trasformazione dell’attività lavorativa, relegata alla dimensione virtuale e agli spazi fisici delle proprie abitazioni.

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Trasformazione delle relazioni, azzeramento degli incontri in presenza, nuovi strumenti tecnologici, adeguamento delle competenze, cambiamenti organizzativi, adattamento degli spazi privati: sono molti i contenuti di cui tenere conto per poter governare una condizione come quella che si è determinata con la pandemia e la rilevazione dei vissuti e delle esperienze di chi vi è coinvolto rappresenta un passaggio ineludibile.

Come CLAP abbiamo proposto questa rilevazione per colmare un vuoto di conoscenze e di informazioni, a partire dai confronti informali avvenuti tra gli iscritti che hanno messo in evidenza diverse criticità espresse tanto dal personale dipendente che da quello con contratto di collaborazione. Le differenze tra i due diversi rapporti di lavoro si sono per certi versi assottigliate nell’organizzazione del lavoro da casa, in assenza di una disciplina che regolamentasse questa condizione di lavoro a distanza per tutti e tutte, lasciata di fatto alla gestione dei singoli responsabili e delle conseguenti molteplici impostazioni.

E’ importante evidenziare che non si tratta di una rilevazione sulla condizione di smart working, che non compare infatti come categoria all’interno del presente documento. In ANPAL Servizi tale modalità di organizzazione del lavoro viene a tutt’oggi definita nel gestionale aziendale come “emergenziale” e non è governata da un accordo. Al tempo stesso va osservato che tale condizione non è concepita come una sperimentazione, che prevederebbe metodi, strumenti, tempi di realizzazione e verifiche puntuali. Una sperimentazione sullo smart working nell’azienda era stata condotta nel 2019, in conformità con quanto previso dalla normativa del 2017, ma malgrado i riscontri più che positivi nelle risposte di chi vi ha preso parte, riportati in un rapporto di valutazione, l’azienda non aveva poi avviato un processo di apertura allo smart working per i suoi dipendenti.

A differenza di alcune indagini realizzate in questo anno di pandemia sul fenomeno, l’inchiesta in ANPAL Servizi si riferisce a una platea di rispondenti di cui sono note le condizioni strutturali di lavoro, in quanto regolate da un unico soggetto aziendale. Anche per questa ragione si è scelto di utilizzare uno strumento di rilevazione standardizzato, a domande chiuse, orientate alla rilevazione di giudizi e di opinioni nella forma dell’accordo/disaccordo rispetto alle affermazioni proposte nella sequenza delle domande del questionario.

Il questionario è stato messo a disposizione online con un comunicato ed il link per la sua compilazione sul sito delle CLAP il 12 dicembre. Una stima plausibile dei soggetti raggiunti dall’informazione sull’inchiesta si aggira intorno alle 300 unità; a distanza di 2 mesi dal suo lancio, sono stati compilati 208 questionari (bacino di iscritti e sostenitori delle CLAP). Le informazioni raccolte attraverso questo strumento di rilevazione, e successivamente elaborate, hanno permesso di tracciare una rappresentazione dei fenomeni e degli aspetti sottoposti ad indagine ricca di luci e ombre, che evidenzia numerose criticità nell’adattamento dei lavoratori e delle lavoratrici alle pratiche di lavoro a distanza e che, al tempo stesso, restituisce anche il marcato interesse per le potenzialità dello smart working, a condizione che la sua articolazione sia accessibile e, soprattutto, definibile attraverso la consultazione negoziale e la partecipazione attiva dei lavoratori.

Il questionario adottato, che prevede una agile sezione anagrafica, è articolato in 4 sezioni che affrontano gli ambiti di interesse prioritario della rilevazione e si riferiscono alla disponibilità di infrastrutture e abilità tecnologiche, all’organizzazione del lavoro di gruppo e individuale, ai temi della conciliazione vita/lavoro, alle percezioni e alle prospettive. L’analisi e la discussione dei dati seguirà tale impostazione.

Il collettivo coinvolto dall’indagine riguarda, come anticipato, 208 soggetti, tra i quali prevale la componente femminile (74%) e le classi di età sopra i 46 anni (60%).

Il riferimento alle diverse condizioni familiari, che possono incidere sul benessere percepito rispetto all’esperienza professionale domestica e nei confronti dei vissuti soggettivi, consente di rilevare la distribuzione del carico di cura: molto rilevante per chi vive con figli minori (47%) e per chi convive con familiari disabili o anziani da accudire (13%); chi vive sola/o tende ad evidenziare, invece, bisogni di socialità e di relazione (13%).

Per quanto concerne la tipologia contrattuale dei rispondenti prevale chi è sottoposto al regime contrattuale di collaborazione (80%), quella di lavoratore dipendente coinvolge la quota restante (20%). Rispetto all’organizzazione aziendale si rileva, infine, come la maggior parte dei rispondenti svolga incarichi che si riferiscono ad attività territoriali (70%) e che, nell’espletare le proprie mansioni professionali, interagiscano con soggetti esterni all’azienda (76%).

1.    Infrastrutture e abilità tecnologiche

All’indomani dell’indicazione di non uscire di casa e di dover adattare le proprie attività da remoto sono stati approntati gli strumenti per la gestione di riunioni online e per la condivisione delle attività lavorative da remoto, anche attraverso un’attività di formazione a distanza sull’utilizzo dei nuovi strumenti informatici.

Complessivamente l’82% dei rispondenti ritiene che “i software di cui si è dotata l’azienda abbiano permesso di gestire abbastanza rapidamente il nuovo assetto lavorativo e la valutazione è prevalentemente positiva anche sui software disponibili che per il 64% dei rispondenti sono adeguati allo svolgimento di tutte le attività. Tuttavia, per quasi una persona su 3 “è stato difficile familiarizzare con l’uso dei software previsti”.

Sono molto più numerosi, il 53%, quelli che “avrebbero voluto ricevere una formazione più approfondita o un supporto specifico per l’utilizzo dei nuovi software”. A seguito della prima formazione per l’utilizzo della piattaforma Teams non sono stati proposti cicli successivi di formazione o supporto per il personale, il cui spazio di confronto con altri colleghi si è evidentemente assottigliato, o persino azzerato, rispetto alla condizione di lavoro in presenza.

Il lavoro da casa è stato avviato contando unicamente sulle dotazioni strumentali proprie dei lavoratori, senza alcuna fornitura da parte dell’azienda. Solo dopo alcuni mesi è stata data la disponibilità, solo per i dipendenti che ne facevano richiesta, e che disponessero dell’informazione per l’accesso a tale possibilità, di un pc portatile; l’azienda, infatti, non ha veicolato nessuna comunicazione alla comunità professionale.

Possiamo rilevare che “solo” il 72% dei rispondenti dichiara di disporre di tutta la dotazione strumentale di cui ha bisogno per adempiere alle proprie attività professionali.

Gli intervistati specificano che tra le cose che servirebbero per l’attività, nelle inedite condizioni ancora emergenziali, vi sono la connessione veloce per la gestione delle riunioni in video (molti utilizzavano internet dal proprio cellulare), le cuffie con microfono, la webcam, la stampante, una sedia ergonomica, uno spazio domestico adeguato per poter lavorare, fino a nominare una maggiore competenza tecnologica e la formazione su altre piattaforme che vengono utilizzate dai loro interlocutori (personale CPI; scuole; aziende; etc.). L’86% degli intervistati dichiara di ritenere improprio dover sostenere le spese relative alla dotazione necessaria per svolgere il lavoro in modalità “agile”.

Nel collettivo intervistato solo i dipendenti rilevano di aver ricevuto degli strumenti a supporto dell’attività di lavoro dall’azienda (si è trattato in tutti i casi del pc portatile, in alcuni casi anche delle cuffie/microfono), ma a marzo 2021 ancora non tutti li avevano ricevuti.

2.    Organizzazione del lavoro di gruppo e individuale

Le informazioni relative all’ambito dell’organizzazione del lavoro consentono di riflettere sulle diverse componenti del vissuto lavorativo e personale nel periodo considerato; nel corso del 2020 l’organizzazione dell’azienda e l’assetto del lavoro sui territori ha subìto, infatti, modifiche significative, comunicate attraverso Ordini di Servizio e senza che venissero fornite informazioni circostanziate utili a comprenderne la ratio o la tensione organizzativa. Alcune attività lavorative sono state ri-orientate in funzione del lavoro a distanza (ad esempio l’assistenza tecnica al personale di enti a loro volta chiusi al pubblico quali i Centri per l’Impiego); altre sono state riorganizzate in funzione dei nuovi assetti che hanno pesantemente investito la struttura del lavoro sui territori (ad esempio con l’assegnazione di incarichi inediti per contesto e/o ambito di attività).

Sono stati assunti, a tempo indeterminato, oltre 130 nuovi dipendenti, in alcuni casi richiamati in servizio in posizioni che non avevano mai occupato prima. In azienda, tutti i cambiamenti organizzativi e funzionali sono stati affrontati e gestiti, nella maggioranza dei casi, all’interno della dimensione “ristretta” del gruppo di lavoro o nello scambio informativo individualizzato uno-a-uno tra responsabile e lavoratore subalterno, condizionato dai vincoli e dalle strategie adottate nella comunicazione a distanza.

A seguito della pandemia, e delle misure per il suo fronteggiamento, le attività professionali non hanno subìto variazioni significative per il 67% dei rispondenti; i cambiamenti hanno riguardato, dunque, un lavoratore su 3.

Quali sono state le variazioni rilevate? Chi risponde specifica che fa riferimento alla cancellazione delle attività svolte in precedenza, al trasferimento in altre aree, allo svolgimento di attività non afferenti a una programmazione specifica, all’aumento delle riunioni, allo scarso preavviso per la convocazione a riunioni, all’aumento delle attività tout court, all’aumento dei documenti da compilare, all’adattamento di materiali che venivano utilizzati in presenza, citando poi la produzione di attività inutili successivamente archiviate e, evidentemente, l’azzeramento delle relazioni interpersonali dal vivo.

La metà dei 208 rispondenti ritiene di ricevere informazioni puntuali sulla distribuzione del lavoro e sull’attribuzione dei rispettivi incarichi nei gruppi di lavoro; in questo periodo, per sottolineare un dato rimarchevole che concerne l’accesso alle informazioni e ai processi di condivisione delle strategie organizzative, solo una ristretta minoranza, il 20%, riceve “informazioni regolari sui processi organizzativi e decisionali che hanno luogo in azienda.

Interpellati sulla qualità del lavoro e delle attività che si svolgono da remoto, il 65% dei rispondenti considera che tale modalità di prestazione non possa soddisfare la realizzazione di tutte le attività professionali –Ci sono attività svolte in modalità tradizionale che non possono essere convertite in modalità da remoto”-; solo il 48% ritiene che le attività di assistenza tecnica verso soggetti esterni, in particolare, abbiano la stessa efficacia da remoto rispetto a quelle in presenza.

Tra le attività che secondo il 36% di chi ha risposto non possono essere convertite in modalità da remoto vi sono alcune attività di formazione e trasferimento di metodologie, pensando in particolare alle dotazioni informatiche o anche alle abilità tecnologiche degli interlocutori, ma anche alla differente soglia di attenzione nella comunicazione online di target quali gli studenti. Vengono citati anche i laboratori, soprattutto con le categorie svantaggiate, che sono il target privilegiato del Reddito di cittadinanza e in generale le attività che presuppongono una interazione tra i partecipanti e tutte le attività che in presenza rendono più fluidi i processi e richiedono meno passaggi.

I rispondenti, nel 45% dei casi, avvertono in questa fase “un maggiore controllo dell’azienda/del responsabile sui risultati ottenuti in questo periodo”; il 20% percepisce anche “un maggiore controllo sugli orari di lavoro”.

Complessivamente, per il 61%, c’è un miglioramento della possibilità di gestire i tempi e l’organizzazione del lavoro individuale.

Rispetto alle relazioni con il gruppo di lavoro, il 70% ritiene la collaborazione agevole, a fronte del 30% che non la pensa così: la quota di lavoratori poco soddisfatti dalla mancanza di relazioni vis à vis tra colleghi sale, poi, al 40% per quelli che ritengono che questa mancanza “incida negativamente sulla qualità del lavoro.

3.    Conciliazione vita/lavoro

La sezione del questionario dedicata all’esplorazione delle modalità di “conciliazione vita/lavoro” permette di mettere in rilievo alcune importanti considerazioni. Pur sapendo che il contesto della pandemia da Covid-19 ha rivoluzionato tutti gli equilibri sui quali ognuno/a era abituato a modulare nell’ordinario la conciliazione vita/famiglia/lavoro – primo fra tutti quelli di chi ha figli in età scolare, o con altri conviventi in lavoro da remoto, ecc. – in ANPAL Servizi non sono state prese in considerazione le condizioni di carico familiare e le misure per disegnare le azioni per favorire la conciliazione individuale. Di fatto, dal marzo 2020, sono giunti solo pochi segnali, peraltro molto dissonanti e discordanti: prima è stata ventilata la necessità del rientro in presenza, poi la sua eventuale possibilità, poi più nulla.

Nel frattempo, però, è stata sospesa l’erogazione dei buoni pasto e non sono state proposte forme alternative di compensazione per gli inediti costi sostenuti dai lavoratori per l’attività professionale erogata in ambito domestico (luce, riscaldamento, linea internet veloce, telefono, strumenti informatici, cancelleria).

I partecipanti all’indagine riflettono un’eterogeneità di condizioni: il 40% ritiene che l’ambiente di casa porti con sé distrazioni e/o disturbo all’attività lavorativa; nel 43% dei casi non dispongono di spazi adeguati per lavorare nella propria casa.

Se si considera poi l’adeguatezza e la conformità dell’ambiente casalingo alle indicazioni del Testo Unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (es. sedia ergonomica, schermi idonei, previsione di pause cadenzate nella giornata, etc.), il 60% dei rispondenti evidenzia come queste previsioni non trovino corrispondenza nella propria abitazione.

Alcune evidenze positive si mostrano nella quota elevata (il 73%) di coloro che riescono a dedicare sufficiente tempo sia al lavoro, sia alla vita privata; tuttavia, resta alta la quota (un quarto del collettivo) di quelli che manifestano difficoltà nella conciliazione vita-lavoro. In questo sottogruppo il divario tra chi manifesta difficoltà di conciliazione è naturalmente presente con 12 punti percentuali di differenza tra le difficoltà del 33% di chi abita con figli minori rispetto al 21% di chi non ne ha.

Il 22% dichiara che, pur lavorando da remoto, non può distribuire in maniera autonoma il proprio carico di lavoro, nell’arco della giornata.

Il lavoro svolto in casa, come forma di isolamento sociale e fonte di disagio, viene rilevato da quasi i due terzi dei rispondenti (65%) che avverte come “la prolungata mancanza di socialità nel contesto lavorativo incida negativamente sul benessere personale. Molto significativo, infine il dato che mostra come il 33% di lavoratori e lavoratrici che hanno partecipato all’inchiesta dichiari che sta vivendo con difficoltà questi mesi di lavoro da remoto.

4.    Percezioni e prospettive

Sulle prospettive che riguardano l’adozione del lavoro agile nel futuro, in un contesto ordinario, non viziato, cioè, da situazioni emergenziali o non programmabili, i partecipanti hanno manifestato un altissimo consenso verso le potenzialità di questo strumento: l’uso del lavoro agile può contribuire a migliorare il benessere organizzativo per il 95% dei rispondenti.

Il 95% vorrebbe che fosse introdotto in azienda come modalità strutturale di organizzazione del lavoro; il 90% vorrebbe avvalersi dello strumento del lavoro agile al termine dell’emergenza sanitaria in corso.

Alla luce delle esperienze maturate in questi mesi si evidenziano anche delle esplicite richieste che emergono con forza per il consenso quasi unanime ottenuto nelle risposte fornite al questionario:

  • maggiore spazio “all’informazione e alla comunicazione verso la comunità professionale” (98%),
  • l’azienda dovrebbe facilitare “l’accesso del personale a spazi di coworking su tutto il territorio” (93%),
  • previsione di forme di compensazione (economica, strumentale, di welfare, ecc.) nell’utilizzo del lavoro agile del personale” (90%),
  • maggiore “ascolto delle esigenze del personale” per regolamentare il lavoro agile attraverso forme di consultazione diretta (88%).