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La fuga di piloti mette all’angolo Ryanair

21 September 2017 |  Giansandro Merli

La compagnia si trova in una crisi senza precedenti rispetto alla gestione dei suoi lavoratori. Il modello fondato sulla compressione del costo del lavoro anche attraverso un forte turn over inizia a scricchiolare ::

Lunedì 18 settembre, Michael O’Leary, amministratore delegato della più famosa compagnia low cost, è stato costretto a convocare una conferenza stampa e spiegare quello che stava accadendo in casa Ryan. Circa 2mila voli cancellati e fino a 400mila passeggeri lasciati a terra nelle prossime sei settimane. Nel mezzo, un errore di comunicazione da principianti: annunciare le cancellazioni senza specificare i voli interessati. Un fatto che ha mandato nel panico tutti coloro che avevano in tasca un biglietto compreso nel periodo a rischio (quasi 2 milioni di persone).

O’Leary ha dichiarato che l’annullamento dei voli è stato deciso per ristabilire il tasso di puntualità della compagnia, che negli ultimi dieci giorni era crollato da sopra il 90 a sotto il 70%. A causare questo crollo, secondo Ryan, sarebbero stati i ritardi dovuti alle condizioni meteo e all’Air Traffic Control (ATC), il complesso di regole e organismi che contribuiscono alla sicurezza aerea. I ritardi così prodotti avrebbero generato una sorta di effetto valanga sui voli successivi. Anche perché, dopo aver impiegato a pieno regime piloti e personale di bordo durante un periodo estivo da record (12,7 milioni di passeggeri, +10% del traffico aereo rispetto all’anno precedente), la compagnia sta cercando di distribuire le ferie accumulate dai lavoratori. Secondo O’Leary, a monte di tutta la faccenda ci sarebbe proprio la questione delle ferie, che risulta complicata a fronte di una unusual situation che sta vivendo la compagnia: il cambio di calendario. Di cosa si tratta?

A livello europeo è stabilito un limite annuo e mensile di ore di volo per il personale di bordo. Da un lato, al fine di evitare fenomeni di fatica cronica tra i lavoratori, dall’altro per proteggere la sicurezza dei viaggi aerei. Per i piloti questo limite ammonta a 100 ore mensili e 900 annuali. Mentre tutti i Paesi europei calcolano l’anno dal 1°gennaio al 31 dicembre, in Irlanda veniva preso in considerazione un periodo differente: dal 1° aprile al 31 marzo. Per anni, questa differenza ha assicurato vantaggi commerciali alle compagnie battenti bandiera irlandese – che potevano contare su maggiori disponibilità di personale di bordo nell’affollato periodo estivo -, nonché pesanti disagi a quei lavoratori che, cambiando società, dovevano passare da un calendario all’altro e finivano per sforare i massimali orari. Inoltre, questa diversa scansione rendeva più semplice per Ryanair contenere la retribuzione dei suoi lavoratori anche attraverso un’ulteriore tattica: un mese di off per il personale di bordo nel periodo invernale. Ovviamente non pagato.

Nel corso degli anni, diverse associazioni di piloti hanno segnalato queste problematiche all’EASA (European Aviation Safety Authority). Alla fine, l’autorità europea, nonostante l’opposizione dell’IAA (Irish Aviation Authority), ha stabilito che anche in Irlanda l’anno sarebbe dovuto cominciare il 1° gennaio.

O’Leary ha sostenuto che in questo modo la compagnia si è trovata costretta a concedere le ferie annuali ai lavoratori in un periodo di sette mesi, dal 1° aprile al 31 dicembre 2017. Secondo la IALPA (Irish Air Line Pilots’ Association), però, questa tesi è «strana e insostebile». Ryan, infatti, al pari di tutti gli altri operatori irlandesi, sapeva da ben due anni che a partire dal 2018 il calcolo dei dodici mesi sarebbe stato adeguato a quello del resto d’Europa. Ha dunque avuto tutto il tempo di organizzare in modo differente le turnazioni.

IALPA sostiene invece che l’incapacità di Ryanair di garantire i voli in programma dipenderebbe da tutt’altro fenomeno: la fuga dei piloti verso compagnie che offrono migliori salari e maggiori diritti. IALPA mostra come, parallelamente alla crescita ininterrotta del numero complessivo dei piloti Ryan, sia anche aumentato vertiginosamente il numero di quelli che hanno lasciato la compagnia. 407 nel 2016, già 718 nel 2017. Ryan sarebbe quindi a corto di piloti perché da un lato deve fronteggiare un tasso crescente di abbandono, dall’altro ha bisogno di formare sempre più personale in grado di far decollare e atterrare i suoi aerei a fronte di un costante aumento delle rotte.

In un’inchiesta pubblicata a giugno, spiegavamo come tutto il “modello Ryanair” fosse basato fondato su un forte turn over dei lavoratori. Le decine di recruitment days organizzati ogni mese in tutta Europa, ma soprattutto nei Paesi del sud e dell’est, sono soltanto l’altra faccia del costante abbandono della compagnia da parte del personale di bordo. Questo a causa di un modello di organizzazione aziendale che scarica tutta la diminuzione dei prezzi dei biglietti sulle spalle dei lavoratori. Da un lato, attraverso un complesso sistema di compressione del costo del lavoro basato sulla scarsa regolamentazione irlandese, dall’altro trasformando hostess e steward in venditori volanti di qualsiasi prodotto. Il piccolo “capolavoro” della compagnia di O’Leary è esser riuscita a produrre denaro persino sul turn over. L’azienda, infatti, ha costruito dei meccanismi che le permettono di ottenere lauti guadagni dalle spese altissime che i lavoratori devono intraprendere per iniziare a lavorare. Soltanto attraverso il «dumping sociale» e le raffinate tecniche di estrazione di valore dai lavoratori, Ryan è riuscita a raggiungere contemporaneamente parametri record sul contenimento del costo del lavoro e sulla profittabilità netta. Come calcola un articolo del Sole24Ore, nella compagnia irlandese il costo del lavoro equivale a meno del 10% dei ricavi totali, mentre il suo indice di redditività è ormai al 20%. Ciò significa che ogni mille euro di ricavi ne spende 100 per i lavoratori e ne distribuisce 200 agli azionisti (lo scorso anno Ryanair ha fatturato 6,6 miliardi di euro).

In una compagnia che si vanta di non aver mai subito uno sciopero, però, la conflittualità cacciata dalla porta sta rientrando dalla finestra, o meglio dal finestrino. Nella forma di una fuga di massa verso migliori condizioni di lavoro. Una dinamica che intacca proprio la base del modello Ryanair, facendo saltare la capacità di gestire il turn over. In particolare rispetto ai piloti, che comunque richiedono una selezione più dura e una formazione più lunga rispetto agli assistenti di bordo.

Per questo, Ryan potrebbe essere molto più in difficoltà di quello che fa trapelare. Tanto da aver offerto fino a 12mila euro ai piloti e 6mila ai primi ufficiali che rinunceranno alle ferie e rimarranno fedeli alla compagnia almeno fino a ottobre 2018. Si parla di aumenti salariali record che, secondo le stime di alcuni analisti, sfiorerebbero il 20% degli stipendi attuali. Se in questa fase di debolezza dell’azienda anche steward e hostess riuscissero a praticare forme di conflitto efficaci, le possibilità di ottenere miglioramenti retributivi e contrattuali potrebbero diventare concrete per molti lavoratori. L’architettura aziendale e i livelli di sindacalizzazione quasi inesistenti, però, non lasciano ben sperare.

* Tratto da DINAMOpress