Focus

A Roma l’accoglienza può trasformarsi in una bomba sociale

25 March 2016

di Roberto Ciccarelli ***

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Inchiesta. L’altra faccia di Mafia Capitale. A farne le spese sono i migranti e gli operatori sociali senza stipendio. Emerge un movimento sostenuto da una nuova esperienza di sindacato sociale: le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap). Viaggio in un sistema di accoglienza ispirato all’emergenza continua. Dai fatti di Tor Sapienza a oggi.

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A Roma il sistema dell’accoglienza è una cipolla. Ci sono tutte le tipologie di strutture per migranti: quelli inaugurati per l’emergenza continua dell’immigrazione: i Cas (centri di accoglienza straordinaria), i Cara straordinari (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), i centri con committente locale, quelli con committenti nazionali (Cara, i Cie-Centri di Identificazione ed espulsione) e internazionali (Fondo Europeo per i Rifugiati).

Ci sono i centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e i centri Dublino. Nato in maniera tumultuosa e improvvisata negli anni Novanta, oggi è un sistema complesso, poco trasparente, molto spesso sovrapposto e in continua trasformazione difficile da mappare. Un rompicapo che rappresenta una realtà nazionale. Roma, insieme alla Sicilia, accoglie infatti il 40% dei migranti inseriti oggi nella rete degli Sprar:

Sprar roma e lazio
Sicilia e Lazio, soprattutto Roma, accolgono oltre il 40% degli ospiti nella rete Sprar

Per i migranti questo sistema rappresenta una zona di indeterminatezza o sospensione dove vivono per mesi. Il destino dei richiedenti asilo è affidato molto spesso al caso: si può finire in un Cara o in uno Sprar, oppure in una delle strutture gestite da cooperative affidatarie di progetti. Dalle testimonianze degli operatori sociali sembra che questo destino venga stabilito dalla disponibilità occasionale dei posti o persino l’umore del funzionario di turno. Queste persone sono spostate, e si spostano, di continuo. Le loro traiettorie sono casuali e la delocalizzazione è infinita. E’ un altro effetto dello status giuridico indeterminato in cui vivono i migranti.

Tor Sapienza e le altre

L’aumento del numero dei richiedenti asilo in un paese che non ha mai elaborato un sistema efficiente per gestire l’emergenza, e la normalità, ha provocato anche una trasformazione dell’orizzonte urbano.

Fino a poco tempo fa i migranti o i richiedenti asilo erano reclusi nelle zone dimenticate, e marginalissime, come Ponte Galeria dove sorge un Centro di identificazione ed espulsione (Cie), oppure nei Cara come quello vicino all’aeroporto di Bari. Dal primo non si può uscire, dal secondo invece sì. Per raggiungere la città spesso si impiegano ore. L’emergenza esiste, e va tenuta lontana dagli occhi. Questi tendoni, o i Cie che sono carceri, compongono l’orizzonte dell’urbanistica del disprezzo, insieme alle baraccopoli nate nelle discariche o nelle zone di nessuno, tra i binari e le consolari.

i richiedenti asilo e i rifugiati sono stati spinti a sopravvivere in insediamenti informali, come a Ponte Mammolo, sgomberato nel 2015. Dal 2010 si contano moltissimi casi come le occupazioni a scopo abitativo, il Salam Palace e edifici come in via Collatina. Si può transitare per anni da uno all’altro. E restare richiedente asilo, in attesa di uno status. Oppure si può anche finire in un appartamento, gestito dalle cooperative affidatarie di un progetto di inserimento o inclusione sociale.

A Roma la domanda di accoglienza doppia rispetto all’offerta ha creato una lista d’attesa cronica di 6 mesi per accedere alle strutture, pari al tempo di permanenza concesso. L’emergenza non è dunque solo legata agli arrivi, ma a disfunzioni sistemiche. Senza considerare la corruzione di Mafia Capitale: per anni questo sistema ha alimentato un sistema di spartizione illegale di risorse ai danni dei migranti.

In questo contesto gli Sprar sono stati ampliati a 16 mila posti a livello nazionale nel 2016. Le strutture di accoglienza dirette dall’Ufficio Immigrazione e dismesse alla fine dell’’”Emergenza Nord Africa” sono state riadattate a questo scopo. A Roma i progetti sono 38, per un totale di 2.581 posti ordinari, con disponibilità di ampliamento del 50%, allo stesso budget. Del numero di CAS non è ancora disponibile una lista completa.

Mappa dell’emergenza continua

A Tor Sapienza, la cooperativa sociale “Un Sorriso” gestiva un centro per rifugiati in viale Giorgio Morandi, oggetto di una violenta campagna che ha portato comitati di cittadini e l’estrema destra romana a un assalto, in uno scenario da guerra tra poveri.

Questa escalation, dovuta a una violenta torsione del dibattito pubblico in senso xenofobo e sicuritario, ha origini nella crisi del sistema dell’accoglienza. Un rapporto dell’Associazione di studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ne ha fatto un ritratto realistico. Sin dal 2013, migranti e operatori hanno denunciato la discrezionalità della fornitura dei servizi di assistenza socio-sanitaria, legale, formativa e lavorativa.

Tre anni fa si usava la metafora del “parcheggio”. E’ ancora valida oggi: descrive un sistema in continua rimodulazione che ha lo scopo di sospendere la vita dei migranti, incarnando uno status giuridico di essere umani banditi dalla cittadinanza. Essere “parcheggiati” significa essere al di sotto del cittadino e poco sopra l’essere umano senza diritti. “Nuda vita” ha scritto tempo fa il filosofo Giorgio Agamben.

L’altra faccia dell’accoglienza: gli operatori

Testimonianze e inchieste hanno dimostrato l’impossibilità di rispettare gli standard fissati dallo SPRAR con centri popolati da 80-100 ospiti. Gran parte dei servizi non viene erogata. Gli operatori impiegati nei grandi centri (1-2 a turno) sostengono che l’accoglienza individuale in queste condizioni non è possibile. Per loro questo significa un allungamento dell’orario di lavoro, una moltiplicazione dei ruoli e delle mansioni che si aggiunge all’incertezza generale dell’inquadramento professionale.

Questo è l’altro volto del sistema emerso nel corso dell’ultimo anno e mezzo, dopo le indagini e gli arresti di “Mafia Capitale”: il sistema criminoso che ha ottenuto una parte dei suoi guadagni in un territorio dove si affollano decine di cooperative, gli enti committenti (Ministero, Comune di Roma, Prefettura, Protezione Civile, UE).

Il “Mondo di mezzo” che gestiva la vita, e l’accoglienza, dei richiedenti asilo, dei profughi, dei migranti, finito sotto indagine, gestiva oltre 10 centri Sprar nella Capitale attraverso un consorzio di cooperative, mentre un altro consorzio gestito dagli arrestati ne gestiva oltre 5.

Il commissariamento seguito alle indagini ha spezzato questo fragile e discutibile equilibrio maturato nello stato di emergenza. In alcuni casi, per i quasi duemila operatori (psicologi, educatori, assistenti, insegnanti), questo ha significato un peggioramento delle condizioni lavorative già precarie.

Nel corso degli ultimi mesi, come sto raccontando nell’inchiesta l’altra faccia di Mafia Capitale, hanno denunciato ritardi del pagamento degli stipendi, da quattro a sette mesi in media. Alcuni non sono stati nemmeno pagati, a volte per la chiusura dei progetti, altre per inadempienza della loro cooperativa.

Nel mondo dell’accoglienza si sperimenta la realtà del lavoro contemporaneo: ritardi del pagamento , il demansionamento, le paghe basse e il lavoro gratuito.

Lo stato delle cose

Questa è la storia dei lavoratori della cooperativa “Un Sorriso” che, di recente hanno scritto una lettera aperta al prefetto della Capitale Franco Gabrielli, e del movimento dei lavoratori dell’accoglienza (A.l.a.). Esperienze di auto-organizzazione, e di nuovo sindacalismo sociale, sostenute dalle Camere del Lavoro autonomo e precario (Clap) che garantiscono il supporto legale e politico-sindacale.

Nel racconto dell’altra faccia di Mafia Capitale trova oggi posto l’esperienza dei lavoratori della cooperativa Eta Beta che gestisce uno Sprar di 100 posti sulla via Tiburtina e un altro in zona Prenestina di 57 posti. Non è stata coinvolta in Mafia Capitale.

Supportati dalle Clap hanno iniziato una vertenza che ha portato all’occupazione temporanea del Servizio Centrale SPRAR e all’occupazione del Dipartimento delle Politiche Sociali dove hanno ottenuto un incontro con il direttore Stefano Giulioli.

Da sei mesi questi lavoratori non percepiscono lo stipendio. Da parte sua le istituzioni hanno assicurato di avere versato 316 mila euro corrispondenti alle fatture emesse dalla cooperativa e sostiene di avere sollecitato le esecuzioni degli stessi pagamenti da parte della Ragioneria Generale. Entro pochi giorni dunque la Coop. “Eta Beta” disporrà delle risorse necessarie per saldare le spettanze dovute a lavoratrici e lavoratori. L’opera di monitoraggio, attivazione e auto-organizzazione sembra portare risultati.

Il girone dantesco

“I ritardi degli stipendi hanno conseguenze sui servizi ai richiedenti asilo – afferma F., un operatore, poco più di trent’anni con esperienze di mediazione culturale . Tra le istituzioni e i centri si forma un girone dantesco di rimpalli, aggravato dal fatto che il comune ha bloccato i finanziamenti alle cooperative dopo Mafia Capitale”.

“Nel frattempo si continuano ad aprire i centri Cas, in sostituzione dei Cara e destinati ai richiedenti asilo – racconta l’operatore – Aprire nuovi centri significa fare investimenti per i lavori e la manutenzione. Noi invece non siamo pagati. I pagamenti sono stati puntuali nei primi due mesi, poi la situazione è peggiorata. La motivazione che ci è stata data è che il comune non dà soldi e loro non possono pagare”.

F. vive con una compagna, non ha ancora figli: “Anche se lei ha un’entrata regolare – racconta – in due è difficile vivere a Roma così. Il problema è che noi non lavoriamo in fabbrica, lavoriamo con le relazioni e abbiamo bisogno di tranquillità. I richiedenti sono vulnerabili, spesso traumatizzati. Noi non possiamo essere stressati per la mancata corresponsione di pagamenti e avere a che fare con storie di vita difficili”.

F. è laureato, parla le lingue, possiede numerose specializzazioni. “È la prima volta che faccio l’operatore, mi sta passando la voglia. Lo farei con tutto il cuore se ci dessero gli strumenti per sostenere il carico emotivo di questo lavoro – aggiunge – Mi sono reso conto che a Roma questo è un settore problematico da gestire: il mancato pagamento o il ritardo è cronico. Gli strumenti per fare serenamente il lavoro non ci sono: dovrebbe essere ad esempio scontata la supervisione degli psicologi. Invece abbiamo relazioni con persone che non interessano a nessuno. L’assistenza è solo burocratica. Questo è molto grave”.

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Protesta dei lavoratori dell’accoglienza e delle Clap

Bomba sociale

“Dopo otto anni in questo settore ho visto le cose andare sempre peggio”. Il racconto di E. è interessante perché spiega come, ad un certo punto, il lavoro dell’accoglienza abbia iniziato ad attrarre persone attorno ai trent’anni, con profili formativi di alto livello. “L’accoglienza – sostiene – è stata considerata la possibilità di accedere ai bandi delle cooperative. In questo modo si è creato lavoro, ma ora c’è il problema del pagamento che si inserisce in una situazione in cui l’organico degli operatori è inferiore rispetto al fabbisogno. Gli Sprar sono gestiti così e continueranno ad esserlo”.

Nella continua rimodulazione del sistema, spinta anche dal caso di Mafia Capitale, oggi le cooperative sociali stanno cercando di aprire i centri con le prefetture. “Il nuovo sistema modifica il modello di accoglienza – continua E. – Rispetto agli Sprar che sono centri di seconda accoglienza mirati all’inclusione, i centri di accoglienza straordinaria (Cas), mirano a un’accoglienza di emergenza. Prevedono vitto e alloggio, servizi di assistenza legale, ma non inclusione sociale nè tirocinii e corsi formativi”.

I centri senza convenzione sono stati chiusi dopo Mafia Capitale. “Questo ha provocato il blocco dei pagamenti, è accaduto a noi e alle altre cooperative – sostiene E. – Quello che è stato fatto è giusto, ma il problema è che la gente è continuata ad affluire senza che venissero regolarizzate le singole situazioni. Chi ne ha pagato le conseguenze sono stati i lavoratori e i migranti. Prima i servizi erano scarsi. Oggi la situazione è ancora peggiorata”.

E. ha poco meno di 40 anni e vuole continuare a fare il suo lavoro. “Ma non a queste condizioni – precisa – Mi piacerebbe che il mondo dell’accoglienza cambiasse. Può essere una risorsa o una bomba sociale. Dipende da come viene gestita”.

*** tratto da il manifesto