In un clima di guerra globale, con focolai di conflitto sull’orlo di nuovi e pericolosi allargamenti – dal Medio Oriente all’Asia, dall’Ucraina al Sahel fino all’America Latina – l’Europa guidata da Von der Leyen ricorre alla propaganda militarista, all’invocazione di un’economia di guerra e di un nuovo ordine mondiale, trasformando queste narrative in strumenti per giustificare spese militari senza precedenti e misure straordinarie che rischiano di trascinarci in un conflitto su scala planetaria.
Tutto ciò accade mentre nelle ultime ore, l’escalation militare sulla frontiera orientale dell’Europa si intensifica e la Polonia annuncia il dispiegamento di circa 40 mila soldati al confine. In questo scenario, una flotta di circa cinquanta imbarcazioni, con un equipaggio formato da attivisti, parlamentari e giornalisti provenienti da 44 paesi diversi, si dirige verso le coste di Gaza.
Lo scopo è consegnare migliaia di tonnellate di aiuti umanitari, ma ancor più importante, è rompere il criminale assedio militare in cui viene costretta la popolazione palestinese. La Global Sumud Flotilla rappresenta a oggi la più grande missione civile internazionale mai organizzata per rompere per portare soccorso a una popolazione civile stremata da due anni di massacri, bombardamenti e dall’uso della carestia come armi di guerra.
Tutto questo avviene nella totale complicità dei governi occidentali, incluso quello italiano. Ci si limita a dichiarazioni di indignazione di facciata. Si riconosce tutt’al più che Israele abbia superato ogni limite, ma nessun governo ha finora adottato misure concrete per isolarlo: non sono stati realmente toccati gli interessi economici israeliani, bloccati i rifornimenti di armi né sospese le relazioni diplomatiche con un governo che sta perpetrando, oramai senza dubbi, un genocidio, come riconosciuto dalla Corte Internazionale di Giustizia e, ormai, dalla maggioranza dell’opinione pubblica mondiale. I provvedimenti annunciati dalla Commissione Europea contro Israele non hanno nessuna possibilità di contribuire a fermare il massacro: arrivano tardi di fronte a violazioni sistematiche del diritto internazionale e, per di più, sono del tutto insufficienti e inadeguati a lenire seppur relativamente le sofferenze impresse a questo popolo.
Il governo Netanyahu ha già annunciato che non si limiterà solo a fermare le imbarcazioni impedendo la consegna degli aiuti, arresterà tutti i membri dell’equipaggio trasferendoli nelle carceri israeliane, senza che abbiano commesso alcun reato. Intanto, come dimostrano i gravissimi attacchi del 9 e del 10 settembre, due navi della Flotilla sono state colpite da droni nelle acque tunisine allo scopo di spaventare e fermare la missione umanitaria.
Tutto ciò accade mentre prosegue il progetto di espulsione della popolazione da Gaza e si intensifica l’occupazione coloniale in Cisgiordania con l’approvazione di un piano esplicitamente finalizzato a un’ulteriore espansione delle colonie, operazione anche questa dichiarata illegittima dall’ONU.
Di fronte alla totale assenza di efficaci iniziative sanzionatorie da parte dei governi europei nei confronti di Israele, è evidente che la mobilitazione deve proseguire dal basso. In questi giorni, in Italia stiamo assistendo a imponenti manifestazioni di sostegno alle partenze della Global Sumud Flotilla. Le iniziative solidali si moltiplicano in tutto il Paese, segno di una crescente e determinata partecipazione che chiede di fermare immediatamente il massacro in corso e di contrastare il progetto coloniale. La Global Sumud Flotilla con il suo equipaggio di mare e le migliaia di solidali che compongono l’“equipaggio di terra” è oramai evidentemente uno straordinario segnale di capacità internazionale dei movimenti sociali di opporsi alla corsa al riarmo e di rilanciare politiche di pace. Per fare pressione sui governi europei e garantire che la missione della Flotilla raggiunga il suo obiettivo è necessario attivare subito ogni forma di azione diretta.
Sappiamo che la guerra in Medio Oriente è solo un tassello di un conflitto più ampio, per giunta sempre sull’orlo di un ulteriore allargamento. Accanto ai diversi teatri militari, la guerra è oramai entrata pienamente anche nella nostra quotidianità. Le politiche di riarmo, il riorientamento di capitoli della spesa pubblica e del welfare a favore della difesa, la ristrutturazione di interi comparti produttivi, la derubricazione di politiche concrete ed efficaci a sostegno dell’aumento dei salari e contro l’aumento della povertà, sono solo una parte degli effetti di un regime di guerra che concretamente si sta imponendo nelle nostre vite, anche attraverso nuove forme di restrizione delle libertà, dei diritti e delle tutele.
Per questo accogliamo la proposta dei lavoratori del porto di Genova di convergere nella giornata di sciopero del 22 settembre, in modalità diverse nei territori, con picchetti, blocchi e occupazioni capaci di intrecciarsi con i movimenti sociali che si mobiliteranno, mettendo in campo al tempo stesso iniziative di disobbedienza civile in tutto il Paese qualora la flottiglia venga bloccata nei prossimi giorni.
Nello spirito di costruire scioperi reali, capaci di superare realmente la frammentazione sindacale, la giornata del 22 settembre segna per noi l’avvio di un processo da estendere il più possibile tra lavoratori e lavoratrici, rafforzando le convergenze e alimentando la mobilitazione dal basso, con l’obiettivo di costruire una risposta collettiva ampia e generalizzata contro il Genocidio a Gaza e l’economia di guerra.