I primi quattro si riferiscono alle norme che regolano i licenziamenti illegittimi, le tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese, la riduzione del lavoro precario, la sicurezza sul lavoro; il quinto è relativo ai tempi e alle modalità di richiesta della cittadinanza italiana.
Come CLAP – Camere del lavoro autonomo e precario, al di là della genesi del percorso referendario, riteniamo questa una tappa importante per rimettere in discussione una legislazione (e una cultura politica) che, da una parte, ha lasciato mano libera a nuove e vecchie forme di sfruttamento, erodendo diritti e tutele conquistate con le lotte da lavoratrici e lavoratori; dall’altra, ha trasformato l’accesso alla cittadinanza da diritto costituzionale a corsa a ostacoli per milioni di persone, ridotte a cittadine/i di serie B, facilmente ricattabili nel mercato del lavoro.
Per queste ragioni ci impegnamo con forza nella battaglia per il raggiungimento del quorum, l’unico vero ostacolo per la vittoria dei SI. In quest’ottica, governo e padronato stanno lavorando al sabotaggio sistematico della consultazione referendaria, ben consapevoli che la maggioranza delle cittadine e dei cittadini sono assolutamente contrari alle norme che hanno peggiorato i loro diritti nel mondo del lavoro.
Nelle prossime settimane le Clap organizzeranno diversi incontri pubblici di informazione e approfondimento sui quesiti, con il contributo del nostro staff legale e dei delegati sindacali. Di seguito una prima analisi dei cinque quesiti.
– Il primo dei quattro referendum sul lavoro chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo. Sono oltre 3 milioni e 500mila ad oggi i/le lavoratori/trici penalizzate da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto.
– Il secondo riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. In quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento. Questa è una condizione che tiene le/i dipendenti delle piccole imprese (circa 3 milioni e 700mila) in uno stato di forte soggezione.
– Il terzo punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre la condizione di precarietà. In Italia, circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a 12 mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Occorre ripristinare l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato.
– Il quarto interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro; 1000 invece le morti, una strage senza fine. Le norme attuali, in caso di infortunio, impediscono negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Occorre cambiare le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche.
– Il quinto referendum abrogativo propone di dimezzare da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. Nel dettaglio si va a modificare l’articolo 9 della legge n. 91/1992 con cui si è innalzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanza da parte dei maggiorenni. Questa modifica costituisce una conquista decisiva per circa 2 milioni e 500mila cittadine e cittadini di origine straniera che nel nostro Paese nascono, crescono, abitano, studiano e lavorano.