Focus

Il lavoro non basta: welfare per tutte e tutti!

14 March 2020

Riconfigurazione delle modalità delle prestazioni di lavoro, continuità del salario, rivendicazione di un reddito incondizionato: temi centrali per attraversare il periodo di quarantena. Non passa inosservato, infatti, che il sistema degli ammortizzatori e delle misure già attive e allo studio del Governo non tiene in considerazione la segmentazione e la frammentazione delle figure del lavoro, l’esclusione, lo sfruttamento, il lavoro povero e indecente.

Questioni strutturali che unite alla dismissione progressiva del welfare in nome di decenni di politiche di austerity e di risanamento del debito producono fragilità sociali e disuguaglianze nell’accesso alle risorse, rischiando di abbattersi su larghi strati di popolazione collocati sulla soglia dell’indigenza.

La pandemia globale ha reso drammaticamente visibile la crisi di un sistema sanitario pubblico indebolito nelle risorse e di mezzi, estremamente differenziato per territorio, trainato dal volontarismo, dalla vocazione e dalla passione del personale medico, sanitario ed infermieristico.   Inoltre, essa mette fortemente in tensione le innumerevoli forme dell’assistenza socio-sanitaria e dei servizi alla persona (dalla cura degli anziani fragili, dei pazienti domiciliari, psichiatrici, in misure alternative alla detenzione), di quella socio-educativa per bambini/e e ragazzi/e in età scolare con bisogni speciali di apprendimento e relazione; quelle forme di welfare mix esternalizzato e opacizzato, in cui si annidano figure di estrema precarietà e ricattabilità (e, persino, ambivalenza rispetto al mandato sociale) del lavoro sociale contemporaneo.

La chiusura, a garanzia della salute di tutte e tutti, di questi servizi, così come quella delle scuole di ogni ordine e grado, impatta, in modo significativo, sulla vita delle donne e di quelle soggettività razzializzate a cui è “naturalmente” e “culturalmente” assegnato il lavoro di riproduzione e di cura all’interno delle mura domestiche, inverando e rendendo ancora più evidente l’intersezione delle linee di frattura sociale e di genere. Resistere alla pandemia partendo dalla specificità di questi temi significa, almeno, porsi il problema dell’individuazione di misure e strumenti in grado di garantire materialmente l’autonomia e l’autodeterminazione di persone altrimenti ricattate da dipendenza economica, sfruttamento, precarietà, dismissione delle risorse di un welfare sempre più povero e inefficace.

Non ci bastano le misure straordinarie a sostegno delle famiglie in difficoltà, a causa della sospensione scolastica, dei servizi educativi per l’infanzia e dei servizi socio-assistenziali, che non possono prendersi cura quotidiana dei figli, degli anziani, dei malati, previste nel nuovo piano del Governo in via di definizione:

  • per l’anno 2020, bonus di 600 euro ai nuclei familiari con figli minori fino a quattrodici anni di età per l’acquisto di servizi di baby-sitting, incrementabili fino a 1.000 in caso di famiglie monogenitoriali, in cui l’unico genitore appartiene alle categorie del personale sanitario e tecnico, ovvero dei ricercatori presso centri e istituti di ricerca impegnati a contrastare il diffondersi del COVID-19;
  • per l’anno 2020, congedo parentale ai genitori lavoratori di figli sino a 14 anni è riconosciuto un periodo di congedo parentale straordinario pari a dieci giorni, senza riduzione della retribuzione; se tali giorni di congedo vengono utilizzati in parti uguali da entrambi i genitori, essi sono incrementati di ulteriori cinque giorni; in caso di famiglie monogenitoriali e/o dell’altro genitore del figlio di personale sanitario e tecnico, ovvero di ricercatori presso centri e istituti di ricerca impegnati a contrastare il diffondersi del COVID-19, si intende pari a quindici giorni;
  • per l’anno 2020, bonus di 500 euro a favore di coloro che svolgono le funzioni di caregiver familiare, per fare fronte agli oneri di cura non professionale di persone non autosufficienti;
  • misure una tantum, che non solo non sono sufficienti perché non in grado di includere le molteplici figure del lavoro e del non-lavoro contemporaneo, ma che, piuttosto, non richiamando a precise responsabilità di distribuzione dei carichi di cura, implicitamente “inchiodano” ancora di più le donne: segregate nelle forme del lavoro povero, ricattato e precario; relegate al ruolo di cura dentro mura domestiche, sempre più spesso, insicure, perché luogo di controllo, svalorizzazione e violenza sui corpi; confinate nel lavoro domestico, infinito e smisurato, che le priva di ogni tempo per sé.

Ci vuole un vero piano sociale che, innanzitutto, potenzi e ri-pubblicizzi con lungimiranza il sistema sanitario, oggi al collasso, e che sia in grado di tutelare tutti quei soggetti che la completa destrutturazione di forme universali del welfare ha lasciato ai margini.

Pretendiamo, allora, rinforzando ed estendendo le misure previste:

  • congedi parentali straordinari, attribuiti per la cura dei figli minorenni, a uomini e donne, al 100% dell’indennità, all’interno di famiglie di fatto, a prescindere dalla formalizzazione giuridica del vincolo. È più che mai necessario, infatti, forzare, oggi, l’istituto del congedo parentale, più volte normato (non ultimo, dal cosiddetto Jobs Act), che fa leva su tre requisiti: il lavoro dipendente e la costanza del rapporto di lavoro, la genitorialità (figli naturali, adottivi o affidatari fino a 12 anni), la progressività dell’indennità e la porzione calcolata sulla retribuzione (che diminuisce all’aumentare degli anni dei figli);
  • indennità “di cura”, che riconosca economicamente e socialmente il lavoro di chi si fa carico di prestazioni professionalmente qualificate indifferibili, che i servizi non sono in grado di erogare in modo continuativo e per tutte e tutti, soprattutto in fase di emergenza;
  • un reddito di autodeterminazione, a estensione della misura di Reddito di cittadinanza (L. 26/2019), oltre le gabbie reddituali e patrimoniali, familistiche, patriarcali, razzializzanti e workfaristiche (welfare to work) – vedi il Piano Femminista di Non Una Di Meno;
  • rinvio del pagamento dei mutui, senza aggravi;
  • sospensione sul pagamento delle utenze;
  • accesso gratuito a internet e alle tecnologie della comunicazione;
  • accesso gratuito e diffuso ai consumi culturali (via rete e cavo);
  • gratuità dei beni essenziali legati alla cura delle persone ed alla sopravvivenza (es. pannolini, assorbenti, latte in polvere, dispositivi para-medicali, ecc.).

#iorestoacasa. Giusto. Non si può fare altrimenti. Forse. Ma la questione è più complessa e va indubbiamente messa a tema.

C’è chi una casa non la ha e che viene multato perché vagabonda per le strade (prima indecoroso, ora indecoroso e untore), c’è chi la vive come luogo di violenza, c’è chi è recluso senza aver commesso reato, da “ospite inatteso” e chi sta scontando una pena. Facciamo attenzione alle retoriche roboanti (non, necessariamente, deriva e torsione autoritaria) ed a come significano la realtà, uniformando le biografie delle persone e la densità sociale delle loro storie all’appartenenza alla comunità nazionale.

Non vi sono “eroi nazionali”.

Esiste, però, un bene relazionale, un’intelligenza sociale non monetizzabile. Esperienze di mutualismo autogestite e autonome che lavorano per il benessere delle donne e dei soggetti più fragili, per il sostegno alla genitorialità ed alla cura condivisa, in grado di sovvertire le forme di riproduzione sociale che inchiodano le identità e i ruoli di genere. Istituzioni del comune, forme di produzione di welfare dal basso, pratiche diffuse di operosità sociale, reti di supporto per chi ha uno scarso capitale relazionale, casse di solidarietà per sostenere le situazioni di difficoltà economica.

Come ci insegna il movimento femminista, la paura e l’isolamento si contrastano anche riaffermando nelle pratiche di ogni giorno l’importanza e la potenza dell’essere in comune.