Riconfigurazione delle modalità delle prestazioni di lavoro, continuità del salario, rivendicazione di un reddito incondizionato: temi centrali per attraversare il periodo di quarantena. Non passa inosservato, infatti, che il sistema degli ammortizzatori e delle misure già attive e allo studio del Governo non tiene in considerazione la segmentazione e la frammentazione delle figure del lavoro, l’esclusione, lo sfruttamento, il lavoro povero e indecente.
Questioni strutturali che unite alla dismissione progressiva del welfare in nome di decenni di politiche di austerity e di risanamento del debito producono fragilità sociali e disuguaglianze nell’accesso alle risorse, rischiando di abbattersi su larghi strati di popolazione collocati sulla soglia dell’indigenza.
La pandemia globale ha reso drammaticamente visibile la crisi di un sistema sanitario pubblico indebolito nelle risorse e di mezzi, estremamente differenziato per territorio, trainato dal volontarismo, dalla vocazione e dalla passione del personale medico, sanitario ed infermieristico. Inoltre, essa mette fortemente in tensione le innumerevoli forme dell’assistenza socio-sanitaria e dei servizi alla persona (dalla cura degli anziani fragili, dei pazienti domiciliari, psichiatrici, in misure alternative alla detenzione), di quella socio-educativa per bambini/e e ragazzi/e in età scolare con bisogni speciali di apprendimento e relazione; quelle forme di welfare mix esternalizzato e opacizzato, in cui si annidano figure di estrema precarietà e ricattabilità (e, persino, ambivalenza rispetto al mandato sociale) del lavoro sociale contemporaneo.
La chiusura, a garanzia della salute di tutte e tutti, di questi servizi, così come quella delle scuole di ogni ordine e grado, impatta, in modo significativo, sulla vita delle donne e di quelle soggettività razzializzate a cui è “naturalmente” e “culturalmente” assegnato il lavoro di riproduzione e di cura all’interno delle mura domestiche, inverando e rendendo ancora più evidente l’intersezione delle linee di frattura sociale e di genere. Resistere alla pandemia partendo dalla specificità di questi temi significa, almeno, porsi il problema dell’individuazione di misure e strumenti in grado di garantire materialmente l’autonomia e l’autodeterminazione di persone altrimenti ricattate da dipendenza economica, sfruttamento, precarietà, dismissione delle risorse di un welfare sempre più povero e inefficace.
Non ci bastano le misure straordinarie a sostegno delle famiglie in difficoltà, a causa della sospensione scolastica, dei servizi educativi per l’infanzia e dei servizi socio-assistenziali, che non possono prendersi cura quotidiana dei figli, degli anziani, dei malati, previste nel nuovo piano del Governo in via di definizione:
Ci vuole un vero piano sociale che, innanzitutto, potenzi e ri-pubblicizzi con lungimiranza il sistema sanitario, oggi al collasso, e che sia in grado di tutelare tutti quei soggetti che la completa destrutturazione di forme universali del welfare ha lasciato ai margini.
Pretendiamo, allora, rinforzando ed estendendo le misure previste:
#iorestoacasa. Giusto. Non si può fare altrimenti. Forse. Ma la questione è più complessa e va indubbiamente messa a tema.
C’è chi una casa non la ha e che viene multato perché vagabonda per le strade (prima indecoroso, ora indecoroso e untore), c’è chi la vive come luogo di violenza, c’è chi è recluso senza aver commesso reato, da “ospite inatteso” e chi sta scontando una pena. Facciamo attenzione alle retoriche roboanti (non, necessariamente, deriva e torsione autoritaria) ed a come significano la realtà, uniformando le biografie delle persone e la densità sociale delle loro storie all’appartenenza alla comunità nazionale.
Non vi sono “eroi nazionali”.
Esiste, però, un bene relazionale, un’intelligenza sociale non monetizzabile. Esperienze di mutualismo autogestite e autonome che lavorano per il benessere delle donne e dei soggetti più fragili, per il sostegno alla genitorialità ed alla cura condivisa, in grado di sovvertire le forme di riproduzione sociale che inchiodano le identità e i ruoli di genere. Istituzioni del comune, forme di produzione di welfare dal basso, pratiche diffuse di operosità sociale, reti di supporto per chi ha uno scarso capitale relazionale, casse di solidarietà per sostenere le situazioni di difficoltà economica.
Come ci insegna il movimento femminista, la paura e l’isolamento si contrastano anche riaffermando nelle pratiche di ogni giorno l’importanza e la potenza dell’essere in comune.