A Roma diverse reti sociali si stanno confrontando sulla necessità di costruire uno spazio pubblico di movimento che abbia al centro la rivendicazione del reddito di base e incondizionato (RBI) e la riconquista dei diritti dentro ed oltre il lavoro. Negli ultimi anni la crisi e le politiche di austerity adottate dietro “il ricatto del debito” hanno agito come un dispositivo di “livellamento verso il basso” – facendo regredire garanzie sociali e i diritti acquisiti – seppur con un intensità diversificata e stratificata, rendendo la precarietà una condizione sociale generalizzata. Le riforme Monti-Fornero hanno ulteriormente flessibilizzato il mercato del lavoro e tagliato i fondi del nostro sistema previdenziale e welferistico. Questa è una bozza in progress di una carta d’intenti, immaginata come strumento di sensibilizzazione e ricomposizione sociale che si pone come obiettivo praticabile quello di aprire un confronto vero tra le diverse realtà sociali attive da anni su questo terreno: il sindacalismo conflittuale, i movimenti per il diritto all’abitare, le rete associative, i collettivi di precari, le reti studentesche, i lavoratori precarizzati, i centri sociali e tutti coloro che vogliono contribuire ad intensificare, coordinare e generalizzare il conflitto sociale necessario per imporre in forma adeguata il reddito di base e incondizionato come orizzonte di ridefinizione dei nuovi diritti.
· L’Italia resta al di fuori dei parametri europei continuando a disporre di un lacunoso ed iniquo sistema di ammortizzatori sociali che esclude il variegato universo dei precari e dei soggetti non coperti da nessun sistema di protezione sociale.
· L’istituzione di un reddito di base e incondizionato rappresenta un mezzo per lottare contro la precarietà (sociale e) lavorativa e il basso livello di remunerazione (in Italia i salari sono tra i più bassi d’Europa), evitando che una parte crescente della popolazione – com’è avvenuto nei 6 anni di crisi – cada nella “trappola della povertà”. Il reddito di base e incondizionato fornirebbe ai precari e ai precarizzati il potere di non accettare qualsiasi lavoro e di opporsi alla precarizzazione. Quindi il reddito di base e incondizionato è un freno alla politica di ribasso del costo del lavoro.
· Per reddito intendiamo un intervento economico universale ed incondizionato, ovvero l’erogazione di una somma monetaria a scadenza regolare e perenne in grado di garantire la riproduzione delle vite singolari. Oltre al reddito diretto vogliamo garantiti i bisogni comuni (formazione, comunicazione, mobilità, socialità, abitare) attraverso forme di reddito indiretto che possono essere erogate attraverso le competenze degli enti locali (in questo senso la Legge 4/2009 nella regione Lazio dovrebbe garantire questi diritti).
·Il reddito è il riconoscimento della produzione sociale permanente di cui siamo portatori, ricompensa forfettaria dell’appropriazione finanziaria che le forme della cattura e sottomissione producono dentro le leve della nuova valorizzazione capitalistica, della sua continua innovazione produttiva e tecnologica. Quindi non si tratta esclusivamente di redistribuire la ricchezza- il ché non sarebbe poco in questo momento, se avvenisse senza il ricatto dell’impiego precario da accettare – ma si tratta anche di riconoscere – e quindi retribuire – la produzione sociale che avviene ogni giorno.
· Il reddito è un diritto fondamentale della persona (quindi soggettivo) che tutela il diritto ad un’esistenza autonoma, libera e dignitosa, indipendentemente dalla prestazione lavorativa effettuata per questo respingiamo i provvedimenti annunciati dal neo-governo Letta che parlano di reddito minimo esclusivamente per le famiglie bisognose con figli a carico.
· Il reddito è un diritto non discriminante nei confronti di nessuno che deve essere erogato a nativi e migranti a prescindere dalla cittadinanza perché concorre a definire la piena cittadinanza sociale e il pieno godimento delle libertà civili.
· Il reddito non è un sussidio di povertà, quindi non è una forma di salarizzazione della miseria e dell’esclusione sociale. Il reddito non è un sussidio di disoccupazione.
· Il reddito non è vincolato all’accettazione di nessuna offerta formativa e/o lavorativa, di conseguenza non ha un regime sanzionatorio, fondamentale strumento di controllo sociale utilizzato nelle attuali politiche attive del lavoro basate sulwelfare to work.
· Partendo dalla rivendicazione di reddito (RBI) chiediamo che venga istituito per tutti e tutte a prescindere dalla cittadinanza un salario minimo orario che stabilisca il principio che un’ora di lavoro non venga pagata meno di un certo valore.
· Nonostante il nostro iniquo ed arbitrario sintema di ammortizzatori sociali ci sembra fondamentale sostenere le lotte per il rifinanziamento delle cassintegrazioni in deroga
.
· Per costruire un senso comune che ricomponga la rivendicazione del reddito con quella della liberazione di parte del tempo di vita con la riduzione d’orario a parità di salario per redistribuire intanto il lavoro che c’è, riteniamo fondamentale sostenere e promuovere iniziative di lotta come l’esproprio e l‘autogestione delle aziende che chiudono riappropriandosi di parte della ricchezza socialmente prodotta.