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LICENZIAMENTO

17 November 2013

Cosa si intende per licenziamento e quali sono le forme in cui deve essere intimato ?

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro recede dal rapporto di lavoro, per essere legittimo, deve essere supportato da una motivazione idonea a giustificarlo

la legge impone al datore di lavoro di comunicare il licenziamento per iscritto e afferma che il licenziamento verbale è inefficace                       

Il licenziamento comunicato solo oralmente non produce alcun effetto e, in particolare, non interrompe il rapporto di lavoro tra le parti, sicché il datore di lavoro è tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando non sopravvenga un’efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto di lavoro o l’effettiva riassunzione. Va comunque impugnato in 60 giorni.

Cosa devo fare se il licenziamento mi è comunicato solo oralmente ?

E’ necessario che il lavoratore faccia pervenire immediatamente una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia) nella quale lo stesso si mette a disposizione per la ripresa immediata dell’attività dando conto del fatto di essere stato allontanato dal datore di lavoro.

Le conseguenze derivanti dal licenziamento intimato in forma orale sono ora espressamente disciplinate dall’art. 18 Statuto lavoratori, come modificato dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro. ( cosiddetta “Riforma Fornero “).  In particolare per questa ipotesi di licenziamento illegittimo si prevede la cd. tutela reintegratoria piena. Conseguentemente, il lavoratore ha diritto a:

1.  essere reintegrato nel posto di lavoro

2.  ottenere il risarcimento del danno per il periodo successivo al licenziamento e fino all’effettiva reintegra, dedotto quanto percepito da altra occupazione (il risarcimento non può comunque essere inferiore nel minimo di cinque mensilità di retribuzione)

3.  ottenere il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegra

4. scegliere fra la reintegra e l’indennità sostitutiva pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.

Cosa devo fare se ricevo la lettera di licenziamento ?

Come ed entro quali termini devo impugnare il licenziamento ?

Impugnazione deve avvenire entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento in forma scritta.

L’impugnazione del licenziamento può essere fatta con qualsiasi atto stragiudiziale comunque idoneo a manifestare la volontà del lavoratore: normalmente basta una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia). Se sei in ritardo manda anche un telegramma.

Ti consigliamo tuttavia di metterti in contatto subito con uno sportello di CLAP per poter avere da subito la giusta assistenza e i migliori consigli su come scrivere la lettera di impugnazione

Inoltre devi sapere che  l’impugnazione è  efficace  solo se è seguita entro i successivi 180 giorni, dal deposito in tribunale del ricorso oppure dalla comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, per questo ti serve il supporto e  il consiglio di uno sportello esperto e la consulenza di un legale (che puoi trovare gratuitamente presso i nostri sportelli, se ti iscrivi a Clap )

Quali sono le motivazioni idonee a motivare un licenziamento individuale ?

GIUSTA CAUSA
Comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119).
La giusta causa pertanto, rappresenta nei fatti il licenziamento disciplinare per eccellenza; tale da troncare immediatamente il rapporto di lavoro senza neppure erogazione dell’indennità di preavviso.
In quanto sanzione disciplinare dovrà essere stata necessariamente preceduta dall’attivazione dell’obbligatorio procedimento disciplinare ed in particolare dalla preventiva comunicazione delle “contestazioni di addebito” al fine di consentire al dipendente una adeguata difesa da accuse eventualmente infondate.
I contratti collettivi elencano normalmente le ipotesi ed i fatti ritenuti tali da costituire giusta causa di licenziamento (per maggiori approfondimenti si veda Licenziamento per giusta causa);

GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO
E’ rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso.
Anche il giustificato motivo soggettivo pertanto rientra nell’ambito dei licenziamenti di tipo disciplinare, costituendo pur sempre una sanzione a comportamenti ritenuti tali da incidere in modo insanabile nel regolare proseguimento del rapporto di lavoro.
Ricordiamo che il licenziamento di tipo disciplinare è soggetto ad una specifica procedura, la cui violazione rende nullo il licenziamento stesso.
Vengono fatte rientrare nell’ambito del giustificato motivo soggettivo anche le figure dello scarso rendimento e/o del comportamento negligente del dipendente.
Trattandosi comunque di valutazioni sul comportamento del dipendente, anche nelle ipotesi di “scarso rendimento”,  perché il licenziamento sia considerato legittimo anche in questo caso  è necessaria che sia  stata effettuata la preventiva contestazione degli addebiti con diritto del dipendente a svolgere adeguatamente le proprie difese

GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
E’ rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’impresa.
quali la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.
Vengono ricondotti alla figura del giustificato motivo oggettivo anche le ipotesi in cui il lavoratore perda, non per propria colpa, le capacità necessarie a svolgere le mansioni per cui venne assunto.
Tale ipotesi tuttavia è stata più volte oggetto controversie giudiziarie e la giurisprudenza ha delimitato tale fattispecie..

Tuttavia, il nostro ordinamento prevede ancora alcuni casi in cui il lavoratore può essere licenziato “ad nutum”, e cioè in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In particolare, ciò può avvenire esclusivamente nelle seguenti ipotesi:

  • Lavoratori in prova durante tale periodo (che comunque non può protrarsi oltre sei mesi);
  • Lavoratori domestici;
  • Dirigenti, purché il licenziamento avvenga nel rispetto delle norme previste dai contratti collettivi in materia;
  • Sportivi professionisti;
  • Apprendisti al termine dell’apprendistato;
  • Dipendenti che abbiano raggiunto il requisito pensionistico e abbiano superato i 70 anni di età anagrafica

 

 Per tutti gli altri rapporti di lavoro,  in assenza di una delle predette cause, il licenziamento comminato non può dirsi legittimo e il lavoratore ha il diritto di chiedere far valere le tutele previste dalla legge.

 E' quindi estremamente importante che sia un esperto (sportello vertenze CLAP e studio legale specializzato in diritto del lavoro) a considerare nel merito le motivazioni addotte, così da verificarne l'attendibilità

 

Quali tutele sono previste a favore del lavoratore illegittimamente licenziato dopo la cd. riforma Fornero (legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro)?

La legge 92/2012 di riforma del lavoro ha introdotto importanti modifiche sulla materia del licenziamento.

 La modifica più rilevante ha toccato l’art. 18 Statuto dei .Lavoratori, che tutela i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti. Prima era prevista sempre la reintegra e il pagamenot di tutte le retribuzioni dal licenziamento alla reintegra. Adesso occorre fare un avalutazioen caso per caso.

Tutela reintegratoria “piena

Tale tutela si applica:

  • in tutti i casi di nullità del licenziamento, perché discriminatorio oppure comminato in costanza di matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità oppure negli altri casi previsti dalla legge;
  • nei casi in cui il licenziamento sia inefficace perché intimato in forma orale.

È bene precisare che essa trova applicazione a prescindere dal numero di lavoratori occupati dal datore di lavoro ed è prevista anche a favore dei dirigenti.

In tali ipotesi, il giudice, dichiarando nullo il licenziamento, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore al risarcimento del danno subito per il periodo successivo al licenziamento e fino alla reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorrente fra il licenziamento e la reintegrazione.

Il risarcimento del danno è rappresentato da un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione e non può in ogni caso essere inferiore alle cinque mensilità (non è invece previsto un limite massimo).

Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.

Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha, comunque, la possibilità- entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza- di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

  • Tutela reintegratoria anche quando
  • in caso licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo illegittimo perché il fatto contestato non sussiste o perché il fatto rientra in una delle condotte punibili con sanzione conservativa sulla base del CCNL applicabile;
  • in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se il fatto è manifestamente infondato.

Il giudice, annullando il licenziamento, ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno oltrechè al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo fino alla reintegrazione effettiva. Il risarcimento, in questo caso, corrisponde ad una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto sia ciò che il lavoratore ha effettivamente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, sia ciò che lo stesso avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Il legislatore fissa inoltre un limite massimo per il risarcimento, che non può in ogni caso superare un importo pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.Anche in tal caso, il lavoratore può optare per l’indennità sostitutiva della reintegra.

  • Tutela meramente obbligatoria

Tale tutela si applica in tutte le ipotesi non contemplate dalle altre tutele, qualora il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro.In tal caso il giudice, dichiarando risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti;

Tale tutela si applica alle ipotesi in cui il licenziamento risulti illegittimo per carenza di motivazione o per inosservanza degli obblighi procedurali previsti per il licenziamento disciplinare o per il giustificato motivo oggettivo.

In tali casi il giudice, dichiarando l’inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un indennità variabile tra sei e dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, da valutarsi da arte del giudice in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro.

  • Procedura di conciliazione per i licenziamenti per motivi economici

La  legge Fornero è intervenuta altresì in tema di licenziamento individuale per motivi economici, in relazione al quale è stata introdotta una nuova procedura in sede amministrativa, che deve obbligatoriamente essere esperita dai datori di lavoro a cui sia applicabile la disciplina di cui all’art. 18 ( le aziende con oltre 15 dipendenti ) e che intendano licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, al fine di spingere le parti a trovare soluzioni consensuali alla controversia.

In questo caso, il licenziamento deve essere preceduto da una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro (Dtl), ove ha sede l’unità produttiva nella quale è impiegato il lavoratore. La comunicazione deve essere inoltre trasmessa per conoscenza a quest’ultimo

In tale comunicazione, il datore di lavoro deve indicare la propria intenzione di procedere al licenziamento e i motivi del medesimo, oltre alle eventuali misure per la ricollocazione.

Entro sette giorni dalla ricezione della richiesta, la Dtl trasmette alle parti la convocazione per un incontro (che si deve svolgere secondo le disposizioni contenute nell’art. 410 cod. proc. civ.) finalizzato ad esaminare eventuali soluzione alternative al licenziamento.

La procedura deve comunque concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione, salvo che le parti non chiedano una proroga per arrivare ad un accordo o che la procedura non debba essere sospesa per legittimo impedimento del lavoratore (la sospensione non può comunque essere superiore a quindici giorni).

 La procedura  può concludersi in diversi modi:

 

  • se il tentativo di conciliazione fallisce o il termine di 20 giorni decorre inutilmente, il datore di lavoro può comunicare al lavoratore il licenziamento che ha efficacia a decorrere dalla prima comunicazione (Il lavoratore può procedere ad impugnare  secondo quanto previsto ai punti precedenti)
  • se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore ha diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego. ( che sostituisce il cosiddetto  assegno di disoccupazione ), In questo caso è implicita la rinuncia da parte del lavoratore ad impugnare il licenziamento e frequentemente in sede di conciliazione viene  richiesta la sottoscrizione  di una “liberatoria “  che ha l’effetto di  esplicitare la rinuncia da parte del lavoratore ad agire nei confronti dell’ex datore di lavoro per rivendicare   eventuali spettanze e risarcimenti pregressi.

Per questa ragione è molto importante che in sede di conciliazione il lavoratore sia supportato da un  esperto/rappresentante sindacale di sua fiducia  ( anche questa consulenza/servizio verrà garantito gratuitamente dagli esperti di CLAP a tutti i /le iscritti/e)

 

Qualora tale procedura non venisse rispettata, il licenziamento deve essere dichiarato inefficace ai sensi del nuovo art. 18 Statuto dei. lavoratori: in tal caso, il giudice applica la cd. tutela obbligatoria ridotta (condanna, cioè, il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa fra sei e dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, misurandola il relazione alla gravità del vizio formale o procedurale commesso).

Chi lavora in un’impresa di piccole dimensioni è tutelato contro i licenziamenti ingiustificati?

Il licenziamento nelle imprese che occupano meno di 15 dipendenti è disciplinato dalla legge 604/66

Questa legge stabilisce che il licenziamento deve essere fatto con atto scritto, prevedendo esplicitamente la nullità del licenziamento intimato a voce.

Inoltre, a richiesta del lavoratore, il datore di lavoro deve fornire le motivazioni che lo hanno indotto a procedere al licenziamento.

Se le ragioni addotte dal datore di lavoro non appaiono convincenti, il dipendente licenziato può rivolgersi al giudice del lavoro, che deve valutare se il licenziamento sia motivato da una giusta causa o da un giustificato motivo.

Nel caso in cui il si accertasse che non sussiste nè la giusta causa nè il giustificato motivo, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro a riassumere il dipendente, oppure, in alternativa, a versargli un risarcimento.

La misura del risarcimento deve essere predeterminata dal Giudice, tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità di retribuzione, tenendo conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore, nonchè del comportamento e della condizioni delle parti.

In ogni caso, prima di ricorrere al Giudice, è necessario promuovere il tentativo di conciliazione e arbitrato. Si tratta di una procedura, di regola attivata da una organizzazione sindacale, che si svolge presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione, che ha il compito di cercare una soluzione bonaria della controversia. ( anche in questo caso il supporto degli esperti CLAP verrà offerto gratuitamente  agli/alle  iscritti/e)

In caso di accertata nullità del licenziamento anche per lavoratori di aziende  fino a 15 dipendenti si ha diritto alla tutela reintegratoria piena, consistente in:

  • la reintegrazione nel posto di lavoro;
  • il risarcimento del danno, ossia un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione e non può in ogni caso essere inferiore alle cinque mensilità (non è invece previsto un limite massimo). Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative;
  • il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
  • il cd. diritto di opzione, ossia la possibilità di scegliere fra l’effettiva reintegra oppure un’indennità sostitutiva commisurata a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.

Infatti tale regime si applica, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, nei seguenti casi:

  • licenziamento nullo perché discriminatorio;
  • licenziamento intimato in concomitanza con il matrimonio;
  • licenziamento comminato in violazione delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità;
  • licenziamento determinato da motivo illecito determinante;
  • altre ipotesi di licenziamento nullo previsto dalla legge;
  • licenziamento inefficace perché intimato in forma orale.

Può il datore di lavoro rifiutare la prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso?

Eccezione fatto per licenziamento per giusta causa (ovvero un inadempimento del lavoratore talmente grave, da rendere intollerabile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto), Il licenziamento  deve essere intimato con il preavviso stabilito dal contratto collettivo di categoria.

Durante il periodo di preavviso, di regola, il lavoratore deve continuare a prestare la sua attività lavorativa.

Tuttavia il datore di lavoro può dispensare il lavoratore da tale obbligo; in un simile caso, il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore l'indennità sostitutiva, pari alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato durante il preavviso.

Dispensare il lavoratore dall'obbligo di lavorare durante il preavviso comporta vantaggi e svantaggi. Dal primo punto di vista, si deve osservare che il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione, senza dover prestare la propria attività lavorativa. Di contro, con la corresponsione della indennità sostitutiva del preavviso, il rapporto di lavoro viene immediatamente a cessare, e il lavoratore perde gli eventuali benefici che avrebbe potuto conseguire qualora il rapporto di lavoro fosse proseguito, sia pure solo fino alla scadenza del preavviso. Per esempio, il lavoratore non fruirà degli aumenti retributivi che andranno a regime dopo la cessazione del rapporto. Inoltre, il lavoratore perderà i vantaggi derivanti dall'effetto interruttivo che la malattia ha nei confronti del preavviso.

Si vede quindi che, a seconda dei casi, talvolta il lavoratore potrebbe essere interessato a lavorare durante il preavviso; altre volte, l'interesse potrebbe essere quello di percepire la corrispondente indennità sostitutiva.

In ogni caso il lavoratore non può, senza il consenso del datore di lavoro, pretendere di non effettuare la prestazione lavorativa, ricevendo in cambio l'indennità. Simmetricamente, il datore di lavoro non può, senza il consenso del lavoratore, pretendere che quest'ultimo non lavori, accontentandosi di ricevere l'indennità.

Più precisamente, se il datore di lavoro rinuncia al preavviso lavorato, il lavoratore non può unilateralmente pretendere di lavorare; tuttavia, può, se lo ritiene, fruire di tutti i benefici economici e normativi che gli sarebbero dovuti se lavorasse. A questo fine, è necessario comunicare tempestivamente e per iscritto  al datore di lavoro il proprio dissenso alla dispensa del preavviso lavorato, invitandolo a ricevere la propria prestazione lavorativa e avvertendolo che, in difetto, egli non è liberato dagli obblighi che sarebbero derivati qualora fosse stata adempiuta la prestazione lavorativa durante il preavviso.

 

E’ possibile, e a quali condizioni, licenziare un lavoratore che sia divenuto inidoneo allo svolgimento della mansione?

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione recentemente  hanno risolto un contrasto che divideva i Giudici in merito alla possibilità di licenziare un lavoratore diventato inidoneo, per motivi di salute, allo svolgimento della sua mansione.

Le Sezioni Unite sono partite dal presupposto che la prestazione del lavoratore diventato inidoneo è realmente impossibile, con conseguente legittimità del licenziamento, a condizione che quel lavoratore non possa svolgere altra mansione professionalmente equivalente a quella che gli era stata assegnata.

Per questo motivo, il Giudice deve considerare sia le residue capacità lavorative del lavoratore, che l’organizzazione aziendale; sulla scorta di questa comparazione, potrà essere valutata la persistenza dell’interesse del datore di lavoro alla prestazione di quel lavoratore. In ogni caso, spetta al datore di lavoro provare l’impossibilità di utilizzare altrimenti quel lavoratore.

Tuttavia, mancando nell’organizzazione aziendale una mansione equivalente, l’indagine deve essere estesa anche alle mansioni dequalificanti in quanto la salvaguardia del posto di lavoro è un bene primario, per tutelare il quale è ammissibile sacrificare interessi di minor rilevanza, qual è appunto quello che sottende il divieto di dequalificazione.

La pronuncia delle Sezioni Unite ha esteso la verifica della possibilità di utilizzare altrimenti il lavoratore anche in mansioni dequalificanti. In questo modo, si solleva il delicato problema (non nuovo, per la verità) della possibilità di sacrificare interessi pur importanti in nome della tutela di altri interessi, ritenuti prioritari. In ogni caso, rispetto all’orientamento che era prevalente, la sentenza delle Sezioni Unite rappresenta sicuramente un sensibile passo in avanti, perché sancisce comunque il principio che la sopravvenuta inidoneità del lavoratore non costituisce di per sé un giustificato motivo di licenziamento.

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