Focus

Andrà tutto bene se… ci prenderemo reddito e diritti oltre l’emergenza

22 March 2020 |  Clap Padova

L’emergenza sanitaria connessa alla COVID-19 e le misure di contenimento dell’epidemia hanno gradualmente travolto le nostre esistenze. Superata l’iniziale fase di torpore e sbigottimento, tra lockdown e quarantena forzata, una cosa è apparsa subito chiara: le conseguenze dell’emergenza epidemiologica stanno aprendo inediti scenari di crisi economica o, peggio, di recessione globale. Il processo è già in atto.

I dati che giungono dalla Cina, primo paese colpito dall’epidemia, registrano tassi negativi record per quanto riguarda produzione, nuovi ordini, occupazione e previsioni di crescita per l’anno corrente. Gli effetti di questa flessione, successivamente amplificati dall’introduzione delle misure emergenziali imposte dai vari governi nazionali e dalle avventate dichiarazioni di Christine Lagarde (o “Lagaffe”, come venne ribattezzata dai francesi quando era Ministro dell’Economia), si sono propagati in maniera virale su scala globale destabilizzando i mercati. L’attuale andamento degli indici di borsa ne è la dimostrazione, con 820 miliardi di liquidità bruciati nel solo 12 marzo a livello europeo.

Non è certo la prima volta che si verificano turbolenze finanziarie negli ultimi anni, ma preoccupa particolarmente il fatto che questa crisi, a differenza di quanto accaduto nel 2008 e nel 2011, affonda le proprie radici nell’economia reale e attacca uno dopo l’altro tutti i nodi della catena globale del valore, generando costi sia in termini di domanda (minori guadagni e crescente incertezza limitano i consumi) che, soprattutto, in termini di offerta, in virtù dei blocchi del sistema produttivo. E tale situazione non può essere gestita con timide e sporadiche immissioni di liquidità, come paventato dalla BCE, con l’obiettivo di “tranquillizzare” i mercati. Certo, lo scenario muta di ora in ora ed è presto per fare bilanci, ma la sensazione è che l’emergenza in corso rappresenterà uno spartiacque epocale rispetto alla capacità di sviluppo e rinnovamento del capitalismo su scala globale. È questo lo scenario entro il quale si muove la fragile economia italiana e a partire dal quale è possibile analizzare i provvedimenti contenuti nel decreto “Cura Italia” appena approvato e, più in generale, l’operato del governo.

Non è ora nostra intenzione addentrarci nel complesso dibattito e nelle valutazioni relative alle misure di contenimento intraprese dai vari Paesi (dal lockdown all’italiana fino al macabro cinismo di Johnson, Trump e Bolsonaro). Ci preoccupa però il fatto che, nonostante il rapido aggravamento della situazione, per settimane sia stata data precedenza agli interessi economici e che le misure di blocco (parziale) delle attività produttive abbiano lasciato fuori tant* lavoratrici e lavoratori ancora oggi esposti al contagio. I provvedimenti fin qui attuati probabilmente ripuliscono qualche coscienza riducendo, nell’immediato, l’impatto del numero di decessi a fronte di un servizio sanitario con l’acqua alla gola, ma quali contrappesi concreti sono stati introdotti per evitare il tracollo economico e sociale che seguirà? Ed anche guardando all’oggi, le misure adottate sul versante economico non risultano assolutamente in grado di rispondere ai bisogni di un paese fortemente impoverito dalle politiche di austerity che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.

Al comparto sanità, che in questi giorni vacilla sotto il peso dei numerosi ricoveri, vengono destinati solo 3,5 miliardi. Davvero poco, se pensiamo che nell’ultimo decennio il finanziamento pubblico è stato decurtato di 37 miliardi. Ma a deludere particolarmente sono i provvedimenti in materia di lavoro e welfare, per i quali vengono stanziati 5 dei 25 miliardi totali della manovra. Confermando le anticipazioni del Premier Conte, viene estesa ai dipendenti di ogni settore la Cassa Integrazione Ordinaria per un massimo di 9 settimane. Non sono però contemplate tutte le tipologie contrattuali, aprendo al rischio che una parte consistente del lavoro subordinato sia esclusa da qualsiasi forma di sostegno al reddito. Nel settore terziario e in quello agricolo è possibile usufruire, su base regionale, della cassa integrazione in deroga, ma solo nel caso in cui l’interruzione del lavoro interessi un minimo di 5 dipendenti, introducendo anche in questo caso un meccanismo di esclusione. Per chi svolge lavoro autonomo è previsto un bonus una tantum di 600 euro limitato, per ora, al mese di marzo. Poco, considerato che a causa del tetto di spesa previsto migliaia di partite iva non riceveranno nemmeno quelli. Nulla, manco a dirlo, per gli oltre 3 milioni di “invisibili” che lavorano in nero. I licenziamenti vengono bloccati, ma non sono previsti provvedimenti a tutela di lavoratrici e lavoratori con contratto in scadenza, che perdendo il posto di lavoro potranno solo richiedere l’indennità di disoccupazione prevista in base all’inquadramento contrattuale.

Questa in estrema sintesi la situazione. Ancora una volta osserviamo una recrudescenza delle politiche di workfare, che escludono da qualsiasi forma di sostegno al reddito le figure più deboli del mercato del lavoro. Ancora una volta, sacrificando il principio dell’universalità dei diritti sull’altare del particolarismo e della discrezionalità, si va ad allargare il divario tra chi avrà continuità di reddito e chi non avrà nulla. Per questo motivo è più che mai importante articolare un piano rivendicativo all’altezza della situazione: sospensione di mutui, canoni di affitto e bollette, blocco di sfratti e sgomberi, congedi parentali totalmente retribuiti, sostegno per colf e badanti, blocco totale dei licenziamenti, “congelamento” delle situazioni lavorative in essere (compreso lo stop ai tempi di decorrenza dei contratti a termine), stop a ferie forzate e concessione dello smart working (con costi a carico dell’azienda), sospensione dei pagamenti di contributi e imposte per il lavoro autonomo. Ma soprattutto una forma di reddito universale e indipendente dalla condizione professionale per tutte e tutti, a partire da chi ha più bisogno, senza davvero lasciare indietro nessun* (un vero e proprio reddito di autodeterminazione, come proposto dal movimento Non Una di Meno). È questa la piattaforma rivendicativa per il Reddito di Quarantena, portata avanti dalle figure del lavoro impoverito e senza tutele, che più di altre stanno subendo il contraccolpo provocato dall’emergenza sanitaria in corso.

Siamo tuttavia consapevoli che questo è solo il primo passo. Il virus verrà certamente sconfitto ma lascerà in dote uno scenario postbellico che condizionerà per lungo tempo a venire le nostre vite. E proprio a partire da questa consapevolezza che dobbiamo articolare le prossime mosse, immergendoci nelle contraddizioni che questa crisi ha aperto e rilanciando con coraggio e ambizione rivendicazioni ormai “storiche”, frutto del lavoro politico di questi anni. Serve una nuova politica europea, basata su principi di equità e giustizia sociale e libera dai diktat delle istituzioni finanziarie, per deviare il flusso del denaro nelle nostre tasche. Gli strumenti ci sono: Eurobonds, gestione dei debiti nazionali in ottica mutualistica e azzeramento degli interessi, politica fiscale progressiva, patrimoniale. Solo in questo modo potrà essere finanziata una riforma strutturale del welfare, che vada a rinforzare i settori più colpiti dai tagli lineari di questi anni (sanità, istruzione, ricerca) e che funga da volano per una nuova idea di sviluppo solidale. E un reddito universale e incondizionato, libero dai vincoli delle politiche attive, per garantire a tutt* la possibilità di vivere una vita dignitosa e di autodeterminare le proprie scelte.

Per sconfiggere il mostro neoliberista – che nel frattempo non starà di certo a guardare – dovremo essere in grado di condensare queste rivendicazioni in un discorso riconoscibile e accessibile a tutt*, capace di contrastare efficacemente una narrazione dominante intrisa di autoritarismo. Ma dobbiamo farlo adesso! Cogliamo l’occasione che abbiamo davanti, immaginiamo il mondo in cui vogliamo abitare. E lottiamo tutt* insieme per costruirlo.

CLAP PADOVA