ANPAL Servizi

Precari ANPAL Servizi S.p.A.: cosa dice la Legge 128/2019?

11 November 2019 |  Avvocato Alessandro Brunetti

Lo scorso 31 ottobre è stato convertito in Legge il “Decreto Crisi”, con l’importante emendamento che apre finalmente la strada alla stabilizzazione dei precari. L’avvocato delle Camere del Lavoro Autonomo e Precario, Alessandro Brunetti, analizza nel dettaglio il testo della Legge, mettendo in campo un’interpretazione preventiva a uso delle lavoratrici e dei lavoratori in mobilitazione. Affinché nessuno possa permettersi mistificazioni o applicazioni restrittive e illegittime della norma. 

Scarica in PDF il commento dell’avv. Brunetti alla Legge 128/2019

1. Il 31 ottobre scorso il DL n. 101/19, il cosiddetto “Decreto Crisi”, è stato convertito con modificazioni nella Legge n. 128/19. La norma interviene su ambiti lavorativi apparentemente disomogenei tra loro – per marcate diversità sia qualitative che quantitative –, ma che, a ben vedere, possiedono un tratto comune: un elevatissimo tasso di dipendenti sostanzialmente subordinati, e adibiti a mansioni non temporanee, cui vengono invece formalmente e illegittimamente applicati da molti anni contratti aventi natura autonoma (esempio, i Co.co.co.), privi di alcuna tutela contro un eventuale recesso illegittimo o aventi un termine totalmente slegato da qualsivoglia temporaneità della domanda di lavoro che si viene chiamati a soddisfare. Nella gran parte dei casi, la scelta reiterata di ricorrere ai Contratti di collaborazione, più che rispondere a una esigenza di flessibilità organizzativa, è dettata da un principio contabile: il contenimento della spesa. Tra queste/i lavoratrici/lavoratori, molte/i sono relegate/i ai margini delle decine e decine di Società in house/partecipate/controllate, e svolgono dentro le strutture pubbliche, indistinguibilmente e a fianco dei dipendenti pubblici, le medesime mansioni, centrali e ineludibili per il funzionamento della macchina statale.

2. Abbiamo dunque a che fare con Società di chiarissima natura privatistica dove i lavoratori – grazie ai contratti di appalto che la Pubblica Amministrazione stipula con tali soggetti, senza alcun bando pubblico – vengono esternalizzati svolgendo la mission della P.A. senza però avere lo status (e la stabilità) del pubblico impiegato. Le ragioni di queste disfunzioni sono molteplici, e tutte affatto trasparenti; di più, sono Società spesso al centro di questioni assai controverse. Poiché non debbono essere necessariamente composte da capitale integralmente pubblico, spesso diventano veri e propri cavalli di Troia attraverso i quali il capitale privato si aggiudica pubblici appalti, sottraendosi alla trasparenza e agli standard richiesti dalle gare di appalto. Oppure, in maniera altrettanto perversa, consentono la propria rottamazione al bisogno. Ancora: forniscono illegittimamente mera manodopera on demand assai flessibile, con cui mettere in campo disinvolti turn over, abbattendo il costo del lavoro e, al contempo, restando immuni dai rischi che altrimenti potrebbero investire gli amministratori per eventuali danni erariali.

3. Con la Legge 128/19 si tenta dunque di affrontare (o di rimandare) il dramma della predetta composizione precaria del lavoro, senza la quale la Società ANPAL Servizi S.p.A., l’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro, e lo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, non potrebbero operare, sia a livello centrale che periferico. Operatrici e operatori precari, infatti, svolgono attività di assistenza tecnica sia al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che alle Regioni, ai Centri per l’Impiego e al sistema formativo (Scuola, Università e Centri di Formazione Professionale). La stragrande maggioranza dei lavoratori di ANPAL Servizi S.p.A., già Italia Lavoro S.p.A., subiscono da molti anni un alto grado di ricatto, perché impiegati attraverso reiterati contratti con scadenze prefissate o con contratti di finto lavoro autonomo, privi di tutele contro il recesso illegittimo del contratto. I numeri parlano da soli: 654 precari storici, a cui sommare i 2.500 navigator precari, recentemente assunti (471 navigator campani non sono ancora stati contrattualizzati), a fronte di soli 449 dipendenti subordinati a tempo indeterminato.

4. Prima di inoltrarci nell’analisi del testo di Legge, per quel che riguarda i precari ANPAL, una piccola digressione sulla Legge in generale. Come sopra indicato, nella stessa Legge, assieme alla crisi occupazionale di ANPAL servizi S.p.a. si prova a dare qualche risposta al brutale Far West entro cui sono relegati i riders, i fattorini del cibo; introducendo delle tutele di base e tentando di intervenire altresì sul confine tra autonomia e subordinazione (confine anch’esso di evidente portata generale). Cosa accomuna figure produttive apparentemente così distanti? Semplicemente il fatto che tali lavoratori, molto eterogenei, sia specializzati che generici, si ritrovano loro malgrado a presidiare territori dove stanno avvenendo le più cruente sperimentazioni sociali. Spazi dove il diritto del lavoro – già claudicante, a causa di trent’anni di erosioni neoliberali – sta tentando di riadattarsi, cercando di assumere una forma più agile, modulare e leggera. Una volta che l’impianto costituzionale ha subito marcate involuzioni nella sua dimensione materiale e democratica (vedi la menomazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, realizzata dai governi Monti e Renzi), il diritto del lavoro in “versione beta” si agglutina dentro perimetri dove cerca nuovi equilibri, volti a minimizzare il rischio del conflitto sociale e giudiziario, con il massimo profitto economico sia in senso stretto che in senso lato: con l’abbattimento del costo del lavoro, con la massima produttività indotta dal ricatto, con la sedazione dei conflitti favorita, attraverso costante disinformazione, dalle grandi centrali storiche della rappresentanza. Parafrasando un recente articolo dell’economista Christian Marazzi (che parafrasava a sua volta Joseph Goebbels): non si tratta di convincere le persone a non attivarsi sindacalmente o giudizialmente con azioni sindacali e giudiziali di massa, ma di ridurre il «vocabolario» ‒ in questo caso la falsa rappresentazione della norma, e conseguentemente di ciò che si potrebbe ottenere attraverso un’azione giudiziaria –, affinché la passività sia “liberamente” scelta. Insomma, questi perimetri sperimentali parlano del caso di ANPAL Servizi S.p.A., ma, in realtà, hanno l’ambizione di tracciare una rotta comune. Dunque le battaglie che si giocano su questi terreni sono fondamentali per la tenuta e per l’estensione dei diritti ben oltre il catalogo delle opzioni che vengono concesse dal legislatore.

5. Iniziando dalla fine: le risposte normative della Legge n. 128/19 in esame non consentono di dormire sonni tranquilli, ma aprono dei varchi. E questi varchi esistono solo perché la Legge in questione è frutto della mobilitazione permanente degli operatori precari che, auto-organizzandosi fuori dall’eden della concertazione, li hanno aperti con la pressione emendativa sul testo originale, trovando in questo percorso fecondi rapporti di collaborazione con Senatori e forze politiche della maggioranza, che hanno contribuito al risultato.

Fatta questa premessa, parto dunque da un commento analitico del testo, per poi affrontare i temi generali che riguardano il presente e il futuro dei lavoratori privi di stabilità in ANPAL Servizi S.p.A., illustrando l’ampia praticabilità dell’azione giudiziale. Una strada sempre aperta sia nel caso in cui il datore di lavoro intenda dare attuazione rispettosa del dictum normativo al fine di rivendicare il pregresso o, viceversa, per ottenere la stabilizzazione nel caso in cui tenti invece di eluderne in tutto o in parte il precetto.

La Legge, così recita:

«Fermo restando quanto disposto dall’articolo 19, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, e nel rispetto delle procedure stabilite dai regolamenti dell’ANPAL Servizi S.p.A. adottate ai sensi del medesimo articolo 19, comma 2, per far fronte ai nuovi compiti assegnati in seguito all’introduzione del reddito di cittadinanza e della nuova programmazione comunitaria, l’ANPAL SERVIZI S.p.A.

  • può procedere ad assunzioni a tempo indeterminato di tutto il personale che ha prestato servizio con contratto a tempo determinato
  • e può, altresì, nel triennio 2019 – 2021, bandire specifiche procedure concorsuali per l’assunzione a tempo indeterminato per il personale che abbia maturato entro il 1° gennaio 2019 specifiche esperienze professionali presso la stessa ANPAL Servizi S.p.A. e presso ITALIA LAVORO S.p.A. con contratto di collaborazione».

Ovviamente la Legge n. 128/19 – come d’altronde ogni testo normativo – richiede una lettura ermeneutica coerente con l’intenzione del legislatore. L’interpretazione normativa è regolata dall’articolo 12 delle Preleggi, il quale stabilisce che: «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore». A tal proposito, si parla di interpretazione letterale quando, alla lettura della norma, si attribuisce a ogni parola della stessa il significato preciso determinato dalla presenza di quella parola in tale contesto, giungendo quindi alla comprensione letterale della norma giuridica. Un significato più ampio si può avere quando l’interprete della disposizione normativa provvede all’interpretazione logica, ovvero all’analisi della disposizione in base alla ratio (la ragione pratica) da cui tale norma è sorta: si guarda, quindi, al risultato pratico della norma, che in contesti differenti ha ragioni differenti.

Detto questo, appare evidente che il legislatore

1) per i contratti a tempo determinato:

a) abbia previsto la stabilizzazione dei lavoratori addetti con tale forma contrattuale utilizzando il verbo «può», che preso singolarmente alluderebbe ad una mera facoltà priva di cogenza, ma nella sua interpretazione sistemica, va indubitabilmente interpretato come un «deve». E infatti il testo in questione ha quale espressa finalità quella di «risolvere crisi aziendali» (nello specifico, l’art. 4 è dedicato alla risoluzione dell’emergenza occupazionale in ANPAL Servizi S.p.A.) e che le premesse indicano l’urgenza di aumentare l’organico a fronte di una urgente domanda non temporanea di personale aggiuntivo necessario quale conseguenza diretta o indiretta dell’introduzione di nuovi ed ingenti compiti istituzionali da svolgere: «per far fronte ai nuovi compiti assegnati in seguito all’introduzione del reddito di cittadinanza e della nuova programmazione comunitaria». È evidente dunque che tali assunzioni, tenuto conto che già sono in essere le procedure per l’erogazione del Reddito di Cittadinanza, non solo DEVONO essere disposte, ma devono essere disposte SUBITO, ovverosia il prima possibile;

b) Tali assunzioni inoltre sono da operarsi in via «diretta» in quanto non si prevede l’avvio di prodromiche procedure concorsuali (coerentemente con quanto prevede la Legge vigente in materia, come di seguito si illustrerà nel dettaglio);

c) Per quanto attiene la delimitazione della platea dei lavoratori a tempo determinato che hanno facoltà di accedere alle stabilizzazioni, il legislatore non ha posto limiti, né temporali né procedurali. Ciò appare chiarissimo sia dal dato letterale e in base al noto brocardo «Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit» ovverosia: ciò che non sta scritto in una legge si deve intendere che non sia stato voluto intenzionalmente. A riprova di quanto appena affermato, si rileva che, per quanto attiene ai lavoratori assunti con contratti Co.co.pro. e Co.co.co., diversamente nella legge in esame vengono richiamate «specifiche procedure concorsuali» e delle tempistiche oltre le quali non vi si può accedere. Dunque tutti («tutto il personale») coloro i quali hanno prestato servizio per ANPAL Servizi S.p.A. con un contratto a tempo determinato, hanno diritto a essere assunti con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ciò al di là di quando è sorto o cessato il rapporto di lavoro. Sono per questo inclusi tutti coloro che, causa gli effetti collaterali del Decreto Dignità, scaduto il contratto a tempo determinato non sono stati stabilizzati, divenendo a tutti gli effetti esuberi.

2) per i Co.co.pro. e i Co.co.co.: il legislatore «può» (che come sopra articolato deve leggersi «deve» e anche presto) nell’arco di tempo intercorrente nel triennio 2019 – 2021, bandire «specifiche» procedure concorsuali per l’assunzione a tempo indeterminato per il personale che abbia maturato, «entro il 1° gennaio 2019», «specifiche esperienze professionali» sia per ANPAL Servizi S.p.A. che per Italia Lavoro S.p.A.

Passiamo alla interpretazione letterale e sistemica dei passaggi evidenziati:

a) «specifiche procedure concorsuali» sta a indicare che le procedure selettive devono essere chiuse, ovverosia riservate esclusivamente a coloro i quali hanno prestato servizio con contratti di Co.co.pro./Co.co.co. per Italia Lavoro S.p.A. e/o ANPAL Servizi S.p.A. E non invece aperte a chiunque intenda aderire al bando di selezione pubblica;

b) Tali procedure devono essere appunto dedicate a coloro i quali «abbiano maturato entro il 1° gennaio 2019 specifiche esperienze professionali». In questo caso, non occorre giocare con la semantica (sempre qualora si intenda utilizzare il criterio obiettivo della buona fede): il legislatore ha fissato un termine ultimativo di chiusura temporale per delimitare la platea dei lavoratori che possono accedere al processo di stabilizzazione. Dunque la procedura di stabilizzazione è riservata solo a coloro i quali hanno prestato servizio in forza di uno o più Co.co.co./Co.co.pro. sottoscritto/i anteriormente alla predetta data ed esclude – purtroppo – i lavoratori assunti successivamente alla stessa. Ovviamente, sempre secondo una elementare e piana analisi letterale, il parametro «entro il primo gennaio 2019» non identifica in alcun modo solo chi era effettivamente in servizio a quella data, ma si riferisce anche a tutti quelli che hanno visto scadere il loro contratto/i in data ben precedente. A riprova di ciò, il legislatore addirittura include l’ipotesi di quelli che abbiano prestato servizio con la società Italia Lavoro S.p.A. Rientra potenzialmente nella predetta platea in via di stabilizzazione anche colei o colui che ha smesso di lavorare con un Co.co.pro./Co.co.co prima del 2016 (ricordiamo che, con l’introduzione della Legge 11 dicembre 2016 n. 232, si dispone il cambio di denominazione di Italia Lavoro in ANPAL Servizi S.p.A.);

c) Da ultimo, il riferimento a «specifiche esperienze professionali» sta a indicare che tali procedure selettive devono dare particolare rilievo, e quindi punteggi speciali, per le competenze acquisite; prevedere inoltre forme di valorizzazione connesse al mero fatto di aver prestato servizio (spesso per un lungo periodo di tempo stante la disinvoltura con cui ANPAL Servizi S.p.A. ha stipulato sequenze ininterrotte di Co.co.co.). Le competenze acquisite vanno valorizzate con un punteggio, date per acquisite di fatto, e non occorre dunque vagliarle e sottoporle a giudizio valutativo. Ciò sta quindi a indicare che vanno date per comprovate, per il solo fatto di aver proficuamente lavorato negli anni, sebbene in regime di precarietà (diversamente, stante la libera rescindibilità del rapporto, esso sarebbe stato risolto dal datore di lavoro in qualunque momento).

Vale la pena inoltre rilevare che, in ANPAL Servizi S.p.A., vi sono numerosi casi di lavoratori che, dapprima hanno lavorato con contratti a tempo determinato, e poi, antecedentemente alla predetta data limite, hanno visto apporsi al medesimo rapporto di lavoro dei contratti di collaborazione o viceversa. Tali soggetti potrebbero ovviamente beneficiare del trattamento di miglior favore, ovvero rientrare nei processi di stabilizzazione esentati da qualsivoglia procedura selettiva proprio per quanto statuito in materia di contratti a termine.

IN OGNI CASO, E INDIPENDENTEMENTE DALLA NORMATIVA IN ESAME, LE PROCEDURE CONCORSUALI NON SONO OBBLIGATORIE PER ESSERE STABILIZZATI E, A FRONTE DI UN’AZIONE GIUDIZIARIA VOLTA A RILEVARE LA NATURA SUBORDINATA SOTTESA AI CO.CO.CO. E CO.CO.PRO. O L’ILLEGITTIMA APPOSIZIONE DEI TERMINI APPOSTI AI CONTRATTI, SI POTREBBE OTTENERE L’INSTAURARSI DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO A TEMPO INDETERMINATO.

Per un puntuale quadro normativo, occorre richiamare quanto stabilito in via assolutamente prevalente dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale in materia di obbligo concorsuale nelle Società partecipate, e quindi della possibile convertibilità del termine in caso di contratti di durata o di accertamento della natura subordinata sottesa a un Co.co.co. o Co.co.pro. in assenza di concorso. Tema quanto mai centrale nel caso di ANPAL Servizi S.p.A. in quanto tutti i contratti a termine (antecedenti la liberalizzazione prevista dal Decreto Poletti) e tutti i Co.co.co./Co.co.pro. risultano illegittimi, avendo tutti gli addetti lavorato per rispondere a esigenze assolutamente stabili e osservando tutte le modalità tipiche della subordinazione. Senza contare il fatto che tutti hanno altresì già superato delle prove a evidenza pubblica per ottenere l’accensione del/dei contratto/i a termine o di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto, eludendo completamente in tal modo qualsiasi problema di selezione obbligatoria.

6. Ma prima di entrare ancora più nello specifico, e per evitare di utilizzare i tecnicismi che solitamente accompagnano il vocabolario “hackerato” funzionale all’introiezione del senso del limite, occorre mettere a fuoco le tre norme che vengono utilizzate come artefatti per tentare di blindare i cancelli dietro i quali sono rinchiusi i lavoratori precari delle Società in house. Al fine di leggere tali norme, occorre sfatare un mito, diventato spesso senso comune tra i precari. Il datore di lavoro è un soggetto privato a tutti gli effetti, e si applicano tutte le sanzioni previse dalla Legge per l’impiego privato in caso di Co.co.co., contratti a termine e licenziamenti illegittimi: con una azione giudiziaria si può ottenere la reintegrazione e il posto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nonché tutte le differenze retributive dovute.

E infatti:

  • Il comma 3 dell’art. 1 del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica recita: «Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato». Ciò viene ribadito all’art. 19 del medesimo testo in materia di gestione del personale dove al comma 1 si spiega che «Salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi».
  • Addirittura il Testo Unico del pubblico impiego – dedicato quindi SOLO ai lavoratori alle dirette dipendenze della P.A. e non ai lavoratori delle Società in house – chiarisce al secondo comma dell’art. 2 che «I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo».

Dunque, tenendo a mente che esiste un infondato, illegittimo e anticostituzionale tentativo di applicare estensivamente le norme del Testo Unico del pubblico impiego ai dipendenti aventi un rapporto di lavoro diritto privato con una società di diritto privato (che tale rimane anche se ha il capitale interamente o parzialmente pubblico), queste sono le norme che nel tempo hanno regolato le modalità con cui assumere dipendenti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato:

A) 18 del D.L. n. 112/2008:

  1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le Società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del Decreto legislativo n. 165 del 2001.
  2. Le altre Società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

B) Art. 35 comma 3 del Decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testo Unico sul pubblico impiego):

«Le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti principi:

a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme dì preselezione;

b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;

c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;

d) decentramento delle procedure di reclutamento;

e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali;

e-bis) (lettera soppressa dall’art. 1, comma 364, legge n. 145 del 2018)
e-ter) possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso del titolo di dottore di ricerca, che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli rilevanti ai fini del concorso
».

C) Art. 19 del D.lgs n. 175/2016 (Testo Unico in materia di Società a partecipazione pubblica)

“2. Le Società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001.”

Quindi, in materia di lavoro nelle Società a partecipazione pubblica, sulla base delle norme citate e vigenti in materia ma soprattutto di quelle non richiamate dalle stesse si può affermare senza ombra di dubbio che:

  • dall’art. 18 del DL 112/08 e dall’art. 19 del D.Lgs. 175/2016 se ne deve dedurre che l’assunzione di un lavoratore con un contratto subordinato a tempo indeterminato deve avvenire secondo principi di trasparenza, imparzialità e nel rispetto dei principi posti a garanzia delle pari opportunità (dunque vengono sostanzialmente vietate le clientele);
  • tali assunzioni NON DEVONO OBBLIGATORIAMENTE PASSARE ATTRAVERSO UN CONCORSO PUBBLICO, perché le predette norme si limitano a richiamare i principi di trasparenza di cui al comma 3 dell’art. 35 del Testo Unico del pubblico impiego, ma non anche il comma 2 del medesimo articolo che recita «L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:
  • a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno;
  • b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità».

La prima balla che si cerca di accreditare da anni – anche attraverso l’uso di sentenze del tutto minoritarie e giuridicamente errate – è che ci sia la pressoché totale sovrapposizione della figura del dipendente pubblico della P.A. con la figura del lavoratore (quasi sempre precario) legato da un rapporto di lavoro privatistico con una persona giuridica altrettanto privata. E seguendo questa strada si tenta di far passare l’idea che:

—> senza il superamento di un concorso pubblico, non si può essere stabilizzati da ANPAL Servizi S.p.A.. Fortunatamente, questa finzione, viene spazzata via sia da una corretta lettura delle norme richiamate che dalla Legge n.128/19 in commento che – almeno per i contratti a termine – non prevede alcuna procedura selettiva;

–> in caso di un contratto Co.co.co. o Co.co.pro. o a termine illegittimo (perché si lavora in regime di subordinazione o perché il termine apposto al contratto è nullo), anche se si ricorre alla Giustizia del Lavoro, si potrà ottenere al massimo un risarcimento del danno, ma mai il posto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ciò è quanto di più falso si possa asserire, poiché i testi normativi del 2008 e del 2016 afferenti il lavoro nelle Società in house NON RICHIAMANO IN ALCUN MODO IL COMMA 5 DELL’ART. 36 DEL D.LGS 165/01 CHE VIETA IN OGNI CASO LA STABILIZZAZIONE (nella P.A.) e che così recita: «In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative…».

Dunque, in caso di mancata stabilizzazione è sempre possibile fare ricorso alla Giustizia ordinaria del Lavoro e ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’origine della prestazione, nonché tutte le differenze retributive e contributive che spettano per il lavoro svolto in regime di falsa autonomia (Co.co.pro./Co.co.co.) o a termine. Ciò purché si impugni l’ultimo contratto entro 60 giorni dalla scadenza (o dalla comunicazione della stessa) con una semplice lettera, inviandola tramite raccomandata con ricevuta di ritorno alla sede legale dell’ANPAL SERVIZI S.p.A.

*       *     *      

Si intende evidenziare che tale chiarissima lettura non è una solipsistica opinione del modestissimo scrivente, ma è accreditata dalla massima, qualificata e maggioritaria giurisprudenza che si è pronunciata sul punto e che ci si avvia a illustrare.

A questo fine, il primo precedente dal quale si può partire riguardante un contratto a termine stipulato prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008 (che come abbiamo visto è il primo intervento normativo con cui si è tentato di dare una regolamentazione “ibrida” a un rapporto di lavoro pacificamente privatistico, richiamando all’art. 18 l’applicabilità del comma 3 dell’art. 35 del Testo Unico sul pubblico impiego il quale si limita a prevedere dei principi di trasparenza e non discriminazione al momento dell’assunzione), è Cass. Sez. Lav. 18 ottobre 2013, n. 23702. In questa sentenza, pronunciandosi sugli effetti della nullità della clausola appositiva del termine, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione aveva confermato la legittimità della disposta conversione in contratto a tempo indeterminato, osservando che l’assunto secondo il quale «la società per azioni a capitale pubblico è sottratta alle norme di diritto privato concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato e, quindi, alla conversione del rapporto […] è contrario ai principi dell’ordinamento dell’UE, né trova conferma nella legislazione nazionale. […] L’organizzazione di un servizio pubblico secondo un modello privatistico non solleva l’ente organizzatore dai vincoli di finanza pubblica, ma non lo sottrae neppure, salva espressa eccezione, alla normativa civilistica propria del modello […] Anche la Corte costituzionale nega ultimamente che lo scopo perseguito dalle Società commerciali affidatarie di servizi pubblici, scopo capace di configurare questi soggetti, sul piano economico funzionale, come ‘longa manus’ o varianti organizzative degli enti pubblici, possa portare ad una identificazione dei regimi di assunzione e di trattamento dei lavoratori dipendenti (Corte Cost. 23 luglio 2013 n. 227)».

Successivamente, in data 25 febbraio 2014, n. 4458, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione aveva, poi, rimesso alle Sezioni Unite la decisione sulla convertibilità̀ a tempo indeterminato del contratto a termine nullo stipulato da un ente pubblico economico sottoposto a vigilanza regionale.

La successiva sentenza delle Sezioni Unite (9 marzo 2015, n. 4685) ha confermato la convertibilità a tempo indeterminato del contratto di lavoro con la clausola del termine viziata poiché «l’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non risultava condizionata dall’obbligo di espletamento di un pubblico concorso o di procedure selettive». La Corte inoltre ha ribadito l’inapplicabilità dell’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 a soggetti diversi dalle «amministrazioni pubbliche» in senso stretto, confermando, in particolare, che da tale disposto «sono esclusi gli enti pubblici economici» e richiamando la citata Cass. Sez. Lav. 18 ottobre 2013, n. 23702 a proposito delle «società di capitale controllate dagli enti pubblici cui è demandato lo svolgimento di servizi a favore della collettività».

Ciò non di meno, come sopra accennavo, esiste una corrente assai minoritaria di giurisprudenza che – errando nell’applicazione delle norme invocate – tenta di estendere l’ultra-vigenza del predetto art. 36 del Testo Unico sul pubblico impiego anche ai dipendenti delle Società in house, cioè provando a parificare il contratto di lavoro con le società a controllo pubblico al contratto di lavoro del pubblico impiego privatizzato. Ma tale orientamento – a fronte della sua debolezza argomentativa – è stato sempre fortemente marginalizzato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sia penale che civile, nonché dalla Corte Costituzionale:

  1. Le sezioni penali della Corte di Cassazione, in tema di Società in house providing, sembravano aver affermato una sorta di parificazione delle stesse alle pubbliche amministrazioni, ma, così come precisato dalle più̀ recenti pronunce delle Sezioni Unite, «ai limitati fini del riparto di giurisdizione riguardante l’azione di responsabilità per danni arrecati dall’illegittimo comportamento degli organi sociali al patrimonio della Società”; così Cass., SS.UU., 1° dicembre 2016, n. 24591. La Cass., SS.UU., 27 marzo 2017, n. 7759 le Sezioni Unite hanno osservato che dalla qualificazione della Società in house come longa manus della P.A. non può «derivare anche l’obbligo di adottare il regime del pubblico concorso […] scelta […] che porterebbe ad annullare proprio una delle caratteristiche determinanti dello schema societario utilizzato dalle Società in house, anche in termini di maggiore adattabilità degli organici e di pronta reattività al mercato ed alle sue dinamiche»; hanno, poi, categoricamente escluso che le Società in house siano «equiparabili alle pubbliche amministrazioni»; hanno, inoltre, preso in esame anche la nuova disciplina delle società partecipate pubbliche di cui al Testo Unico delle Società partecipate, ovverosia il D.Lgs. n. 175/2016, desumendone «l’intenzione del legislatore di non obbligare le società a controllo pubblico ad indire pubblici concorsi e di voler applicare per quanto non espressamente derogato, le norme del codice civile e quelle del diritto privato».
  2. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la recente sentenza n. 7759 del 27 marzo 2017 statuisce espressamente con riferimento alle società̀ a controllo pubblico:
  • l’inesistenza di un «obbligo di adottare il regime del pubblico concorso», specificando che un vincolo siffatto «porterebbe ad annullare proprio una delle caratteristiche determinanti dello schema societario utilizzato dalle Società in house, anche in termini di maggiore adattabilità degli organici e di pronta reattività al mercato ed alle sue dinamiche»;
  • che «con il D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, art. 19, si sono ribaditi i principi della normativa del 2008 in ordine al reclutamento del personale da parte delle Società a controllo pubblico […] che comunque mostra l’intenzione del legislatore di non obbligare le società a controllo pubblico a indire pubblici concorsi».

3. Ed infine, anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di escludere che l’art. 18, D.L. n. 112/2008 (norma che abbiamo visto traslata nell’art. 19 del Testo Unico delle società partecipate) abbia prodotto l’effetto di estendere tout court alle Società in house lo stesso regime del pubblico concorso imposto dall’art. 35 del D.Lgs. n. 165/2001 e, nella fattispecie decisa con la sent. n. 167 del 2013, ha persino attribuito rilevanza alla verifica fattuale se i criteri cui rinvia l’art. 18 fossero stati «in concreto rispettati», così implicitamente riconoscendo che la norma NON introduce, di per sé, un obbligo assoluto in tal senso. È indubbio che, come statuito dalla Corte costituzionale del 2013, la normativa vigente «non assicura che la selezione» debba per forza avvenire «mediante procedure selettive aperte al pubblico come richiesto dall’art. 97 Cost. e con garanzia di imparzialità di reclutamento».

È dunque evidente che nessuna delle disposizioni normative ratione temporis vigenti in materia abbia previsto la pura e semplice estensione, a tutte le Società a controllo pubblico, dell’obbligo della procedura concorsuale per procedere alle assunzioni.

Da ultimo si rileva che esistono riferimenti sia dottrinali che giurisprudenziali che sostengono la radicale disapplicazione sia dell’art. 18, D.L. n. 112/2008 che dell’art. 19, D.Lgs. n. 175/2016 alle Società in house. Il Consiglio di Stato (con il parere n. 638/2017), infatti, nel prendere in esame l’ambito di l’applicazione del D.Lgs. n. 175 del 2016 (che come si è già ricordato all’art. 19, comma 2, ha riproposto e cumulato la disciplina dei primi due commi dell’art. 18, D.L. n. 112, nei confronti delle «società a controllo pubblico»), si è chiesto se tale disposizione sia destinata ad operare anche per le «Società in house» come ANPAL Servizi S.p.A. All’esito del quesito il Consiglio di Stato, pur convenendo che, se la regola di cui al comma 2 dell’art. 19 «opera per le società a controllo pubblico, si dovrebbe ritenere, in via interpretativa, che a maggior ragione dovrebbe operare in presenza di una Società in house caratterizzata da una più accentuata connotazione pubblicistica», ha concluso per l’opportunità di «integrare il testo in modo da rendere espressa l’estensione del- l’ambito applicativo della disposizione in esame» anche alle Società in house come ANPAL Servizi S.p.A. Dunque, secondo il Consiglio di Stato, a oggi, il Testo Unico del 2016 non si applicherebbe in nessun modo al lavoro prestato in favore della Società ANPAL Servizi S.p.A., rimanendo quindi soggetta a tutta la normativa del lavoro privato senza esenzione alcuna.

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7. Concludendo e riassumendo:

  1. Non vi è alcun obbligo a carico della società ANPAL Servizi S.p.A. di dover assumere per il tramite di procedure concorsuali pubbliche;  
  2. Non vi è alcuna impossibilità di convertire contratti a termine in contratti a tempo indeterminato o di «trasformare» Co.co.co. in assunzioni di lavoro subordinato a tempo indeterminato senza avviare procedure concorsuali pubbliche (pur dovendo rispettare i richiamati principi di trasparenza e di pari opportunità);
  3. In caso di mancata (totale o parziale) stabilizzazione della forza lavoro precaria da parte di ANPAL Servizi S.p.A. e in caso di illegittimità dei Co.co.co./Co.co.pro o dei contratti a termine con cui si è prestato servizio, qualora l’ultimo contratto sia stato impugnato entro sessanta giorni dalla scadenza (o dalla lettera che ne preannuncia la scadenza), nulla impedisce l’azione giudiziaria volta al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la condanna al pagamento delle relative differenze retributive e contributive dovute. Ciò in quanto – si ribadisce nuovamente – non opera in alcun modo il divieto di cui all’art. 36 del Testo Unico sul pubblico impiego;
  4. Alla luce di quanto affermato, sarebbe più che opportuna, come richiesto dalle lavoratrici e dai lavoratori in lotta, una corretta Circolare interpretativa della norma da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.