Focus

Più sorrisi? Più soldi! Un mese di lavoro gratuito per le campagne umanitarie

19 December 2016 |  Una ex lavoratrice
Viviamo un’epoca in cui la narrazione è arma nelle mani di chi vuole schiacciare lavoratrici e lavoratori, le loro rivendicazioni, i loro diritti: secondo noi, non è possibile ritirarsi da questo campo di battaglia. Narrare il lavoro, e sopratutto le lotte sul lavoro, vuol dire aumentare le possibilità di riconoscersi, di fare male a chi sta usando la crisi come strumento per arricchirsi alle spalle dei molti che invece continuano a pagarla. Con questo primo testo vogliamo inaugurare una sezione nella quale (ri)costruire saperi sul lavoro e sulle lotte, e rendere pubblica quella realtà sommersa che viene offesa ogni giorno ma che centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori conoscono perfettamente.

Il modo migliore – pensiamo – per usare la realtà e rovesciarla sulla testa di chi tenta di nasconderla o modificarla per i propri interessi. Invitiamo quindi tutte/i quelle/i che ne avessero voglia a raccontarci la loro storia, anche in forma anonima, inviandola a info@clap-info.net. Perché tutte le storie, grandi o piccole che siano, hanno e la necessità di essere narrate dalla bocca dei protagonisti, se vogliono diventare immortali.

Come altre migliaia di giovani ormai quasi arrivati alla fine del proprio percorso universitario, tartassata da una certa ansia per il presente o futuro prossimo,  verso metà settembre scorso decido di cercare lavoro come promoter, hostess, ragazza immagine, barista, cameriera, babysitter, dogsitter, badante… insomma qualunque cosa che possa assicurarmi una minima entrata capace di regalarmi un po’ di autonomia, per intendersi dunque riuscire a permettersi l’affitto di una stanza (anche doppia) a Roma, pagare le ultime tasse stellari all’università, comprarsi da mangiare, poter qualche volta acquistare delle medicine o l’abbonamento del trasporto pubblico, insomma tutti quei desideri da eterna mammona choosy tipici della mia generazione.

Mi imbatto quasi subito in un annuncio dell’agenzia CP Europe che recita così :

“Opportunità di inserimento immediato! Per la sede di Roma selezioniamo 2 risorse a completamento del Team dedicato alla gestione e copertura di importanti campagne promozionali. Valutiamo cv dei candidati liberi da subito e domiciliati a Roma, con facilità al contatto con il pubblico. Si garantisce continuità lavorativa, regolare inquadramento contrattuale e retribuzione puntuale con cadenza mensile.”

 

Cos’è CP Europe?

Dal proprio sito (http://www.cpeuropeltd.com/) l’agenzia si descrive come “una squadra giovane e dinamica” esperta in “Marketing Diretto e della Promozione, lavorando da sempre con impegno e passione per fornire ai nostri Clienti le migliori soluzioni ed il più alto servizio clienti. Il nostro obiettivo è di sostenere la crescita delle aziende clienti attraverso azioni mirate di Brand Awareness e Campagne face-to-face volte ad aumentare la diffusione dei marchi aziendali e il loro parco clienti.” Cp Europe fa parte, insieme a circa una quindicina di altre agenzie, della tanto discussa Appco Group Italia (www.appcogroup.it), “una delle principali società di vendita e marketing face to face al mondo, sia umanitario che commerciale, con più di 800 sedi in 27 paesi” (http://www.appcogroup.it/about-us) che a sua volta fa parte del mastodontico Cobra Group, una multinazionale che sostiene, tra molti altri, marchi come la McLaren Gt (http://www.cobragroup.com/appco-group), primi birividini sulla schiena.

 

Il colloquio

Mando il mio aggiornatissimo CV e subito vengo ricontattata per un colloquio nella sede dell’agenzia, in cui mi si propone di lavorare come dialogatrice umanitaria, altisonante nome che indica il lavoro di promozione per strada o in eventi di campagne umanitarie di Onlus quali Save The Children, Telethon e WWF (le tre organizzazioni citate nel mio contratto di lavoro) per cui procacciare sempre nuovi sostenitori pronti a donare una piccola o grande somma mensile per le più svariate questioni, per citarne solo alcune si va dal sostegno a distanza (la vecchia adozione a distanza) passando per i progetti di aiuto alle vittime di calamità naturali, come il recente terremoto che ha colpito il centro Italia, fino alla difesa dei diritti degli animali.

La cosa mi stuzzica, e rispolvero in sede di colloquio la mia antica passione per le tematiche umanitarie, le azioni spettacolari contro le baleniere, la pace nel mondo… sembra funzionare. Mi viene detto che si fa lavoro di squadra, anzi di team, che “non andremo mai a lavorare nelle zone brutte di Roma dove ci sono i disoccupati, o le badanti, o gli stranieri” ma anzi andremo in quartieri così detti qualificati, come Prati, l’Eur, la Garbatella, Talenti, i Parioli e in catene e spazi commerciali a loro volta di un certo livello, quali Ikea, Elite, Auchan, Metro, Carrefour, o infine in palestre in cui l’abbonamento mensile è qualificato, circoli canottieri, fiere…

Mi viene anche assicurato che ci sono grandi opportunità di crescita personale, dato che l’agenzia si basa su rigorosi principi meritocratici e nei momenti, in realtà nelle ore, di formazione si lavora su di te, in più ci sono bonus, premi e provvigioni a seconda di quante adesioni si riescono a totalizzare, e che si può scegliere liberamente quando e quanto lavorare, in totale libertà, il tutto condito da grandi e promettenti sorrisi, coccole che si fanno ancora più larghe quando chiedo se c’è uno stipendio fisso,  tanto che mi viene risposto “Sì, c’è un fisso, ma devi fare qualcosa per averlo”. Decido di non curarmi di questo piccolo problema di comunicazione, e firmo tutta contenta il mio contratto di lavoro. Dimenticavo, mi viene anche spiegato che tale contratto, che non ha un nome tranne un vago “incaricato alle vendite” è totalmente svincolato da limiti di qualsiasi tipo, e che dunque posso decidere di andarmene quando voglio senza ragione, e anche l’agenzia può mandarmi via quando vuole e senza motivo. In perfetto stile Jobs Act.

 

Come e con chi lavoro?

I miei colleghi, di pari livello o al massimo leader, sono quasi tutti entrati da massimo due o tre settimane e hanno dai 20 ai 28 anni circa, quasi tutti studenti universitari, tra chi non è riuscito ad entrare nelle facoltà a numero chiuso, chi ha bisogno di un secondo/terzo lavoro, chi si è stufato di dare ripetizioni, chi spera di costruirsi una vera indipendenza e dunque vorrebbe crescere, chi sta capendo, come me, se è portato o no per questo lavoro. Se all’inizio del mese eravamo una decina, adesso della mia vecchia squadra siamo rimasti in due o tre, gli altri se ne sono tutti andati, prontamente sostituiti da altri, più giovani, più smart, più disposti a farsi sfruttare a gratis. E i sopravvissuti iniziano ad avere dei dubbi …

La mia settimana lavorativa si divide in due parti, i primi due/tre giorni a loro volta suddivisi in mattine di formazione continua in ufficio sulle tecniche di marketing da usare sul campo, e in pomeriggi di street, dunque lavoro in giro per le strade di Roma in cerca di nuovi sostenitori, gli ultimi giorni della settimana invece sono da passare in evento, cioè in stand situati in luoghi di aggregazione di un certo tipo di umanità, quella così detta qualificata, dunque che può permettersi di dedicare una minima o grande donazione mensile o annua in beneficenza.

E’ consigliabile lavorare anche e soprattutto nei fine settimana, nei giorni di festa nazionale, durante le pause pranzo di chi stacca da lavoro, lavori chiaramente non “umili” ma anch’essi qualificati come grandi avvocati, topmanager, medici,  e nelle ore serali, perché c’è gente in giro, così che di fatto i due turni (non definiti da contratto ma sanciti nella realtà) della mattina (generalmente dalle 8 e trenta alle 14 e trenta) e del pomeriggio (dalle 14 e trenta alle 20 e trenta) vengono spezzati così che si possa lavorare sempre, in questo modo ad esempio si arriverà in ufficio alle 11 e trenta per la formazione il lunedì mattina, ma meglio arrivare prima per la colazione di lavoro, alle volte alle 10 o addirittura alle 9 del mattino, momento informale ma perfettamente inserito nella dinamica lavorativa per cui se non ti presenti perché non puoi, non vuoi, non ti piace il caffè, sei a lezione, vuoi dormire, sei in ritardo .. è peggio per te, e dovrai vivere con la costante ansia di non aver fatto abbastanza per te stesso; la formazione delle 11 e trenta finisce più o meno per le 13 e poi si vola tutti insieme sul campo, dove a discrezione del leader, una figura che con il passare dei giorni mi ricorda sempre più quella del capo maggiordomo nero del film Django, si farà una pausa pranzo (a spese di noi dialogatori), si capirà dove e come stare in strada, come interfacciarsi con i passanti, tutti possibili sostenitori.

Da subito mi rendo conto che molti dei miei superiori guardano chi hanno intorno pronunciando frasi del tipo “Ah qui vedo i dollari”, identificando chiunque come possibile fonte di profitto, niente di nuovo, siamo pur sempre nel ramo delle vendite, del marketing e soprattutto delle provvigioni, dunque se vendi guadagni, se non vendi stai a zero, con in più un leggero ma martellante senso di inadeguatezza, misto a senso di colpa per cui “se oggi hai fatto zero, è colpa tua”, “tu lavori per te stesso e per i tuoi obiettivi e se non li raggiungi è perché non hai seguito bene il sistema”.

 

Cos’è il sistema?

Il sistema è una sorta di carta comportamentale a cui adeguarsi per riuscire a raggiungere i “propri obiettivi”, che poi sono quelli dell’azienda, del tuo owner, del tuo team leader. Si deve credere nel sistema, essere convincenti, essere entusiasti e pieni di energia, anche se stai da ore, forse da settimane sotto la pioggia, non pagato, e continui a ripeterti che c’è chi ce l’ha fatta, c’è chi adesso ha una sua agenzia, nella continua promessa che dopo una gavetta di uno o due anni avrai un buon ritorno, sempre però se mantieni un atteggiamento positivo, se ci metti il 100% dell’impegno, se instauri con chi hai di fronte un rapporto quasi amicale. Se hai la giusta mentalità. Sono tutti così felici e sorridenti che fin dal primo giorno mi sembra di essere circondata da persone strafatte di qualche sostanza a me sconosciuta, che trasforma la realtà in un presente distopico luccicante e inquietante insieme. Partecipo anche al momento massimo di entusiasmo collettivo, un’intera giornata di Rally, cioè una convention nazionale della multinazionale AppCo organizzata all’auditorium dell’Eur, in cui vengono premiati i migliori dialogatori, team leader, vice owner e così via … tra battute patriottiche, tricolori, luoghi asettici, clima testosteronico e, dimenticavo, brevi cenni ai milioni raccolti in beneficenza.

  

Le tecniche di marketing

I dialogatori si distiguono grazie a pettorine colorate, depliants, volantini e pitch, cioè schede esplicative e veloci delle varie campagne portate avanti dalle Onlus a livello nazionale, tanto che presto anche io inizierò a pronunciare frasi del tipo “Quante persone hai pitchato?”, il gruppo Whatsapp del mio ufficio mutuerà nome da “Gli Incredibili” a “i Gladiatori” a “Veni, Vidi, Pitchi”.

In più, al solo scopo di far toccare con mano qualcosa di concreto al potenziale sostenitore ci vengono anche dati in dotazione delle provette di acqua sporca a simulare l’acqua bevuta da poveri bambini africani non meglio specificati, pancia gonfia e mosche svolazzanti, o delle vecchie confezioni di plumpynet, cibo ipercalorico che viene dato ai bambini denutriti di cui sopra, in perfetto stile neo coloniale.

La stanza in cui si svolge la formazione è tappezzata da schemi e riquadri che trattano delle buone norme del dialogatore, una sorta di carta da seguire per raggiungere il successo e crescere all’interno dell’azienda, scalando in poche e in apparenza facili mosse la piramide alimentare dell’agenzia, della multinazionale, ma che dico, del mondo! Ad esempio, chi riesce a totalizzare cinque adesioni in una settimana diviene leader, posizione da cui non si può essere svalutati, e ha quindi diritto a dirigere un team sia nella formazione delle nuove leve sia nel lavoro sul campo e così fino alle più alte cariche dell’agenzia, in breve tempo, mi viene raccontato in modo apologetico, si può avanzare da dialogatore semplice a leader, passando poi per team leader, assistant owner e infine owner, il capo dei capi, a pieni poteri capace di aprire una propria agenzia, con il finanziamento della stessa AppCo Group, la multinazionale a cui fa riferimento la mia agenzia, insieme ad altre 16 sparse in tutta Italia. Peccato però che l’investimento iniziale richiesto nell’aprire una propria agenzia sia elevato e spesso ci si debba indebitare, infatti è accaduto spesso che nuove agenzie dovessero dichiarare fallimento.

Il quadro si infittisce, ancor di più se a chiudere il cerchio si aggiunge la percentuale che chi riesce a scalare la piramide lavorativa, guadagna sulle spalle dei sottoposti, cioè di noi dialogatori, in succosa salsa capitalista o se vogliamo in odor di multilevel, sistema ad oggi  illegale.

(qui un breve approfondimento sullo stesso sistema www.ripoffreport.com/r/Cobra-Group/internet/Cobra-Group-Deceptive-Liars-and-Untrustworthy-Sales-Organisation-ripoff-Internet-211295 )

 

Meritarsi il debito

In più come se non bastasse a completare il quadro idilliaco di questo nuovo sfruttamento selvaggio legalizzato presentato come beneficenza da un lato e vittoria assoluta del merito dall’altro, ci sono tre semplici righe sul mio contratto di lavoro che spiegano che qualora riuscissi a strappare una donazione a qualcuno, la provvigione a cui avrei diritto, che è la mia unica fonte di guadagno, potrebbe essermi stornata dallo stipendio se tale sostenitore decide, senza limiti di tempo, di interrompere la donazione.

In buona sostanza dunque potrei passare intere ore, giornate, mesi a lavorare gratis, e seppur riuscissi a guadagnare qualcosa potrei benissimo perderlo in un futuro non ben definito, ritrovandomi magari in debito con l’agenzia (come viene raccontato anche qui www.you-ng.it/2016/03/17/il-no-profit-che-si-approfit-lo-scandalo-della-raccolta-fondi-solidale/)

Alla richiesta di chiarimento che rivolgo a tal proposito al Vice Owner di Appco, durante una delle famose colazioni di lavoro, mi viene risposto con una amabile metafora che paragona il momento della donazione, della pitch, a un primo appuntamento per cui non sai mai se chi hai di fronte è un mascalzone o una brava persona, dunque mi viene consigliato di basarmi sulle mie percezioni.

 

Il problema non è la caduta…

Atterrando e risvegliandomi da questo incubo  vedo infine che cosa si nasconde dietro alle grandi campagne umanitarie delle Onlus, tra promesse continue di possibili grandi guadagni e crescita lavorativa indorati da una patina zuccherosa e affettuosa fatta di battute goliardiche e false promesse.

La realtà invece è ben diversa, e racconta di migliaia di giovani che, come me, sottostanno a turni massacranti, ore buttate in qualunque condizione atmosferica, in qualunque parte della città, sempre a proprie spese, con sorrisi sempre più forzati, senza la seppur minima garanzia di reddito o diritti, con la minaccia continua di essere mandati via, o peggio andarsene spontaneamente, perché tanto non si è un costo per nessuno e chiunque potrebbe prendere il tuo posto. Mai dimettersi è stato più dolce.