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Che fine ha fatto il Jobs Act del lavoro autonomo?

18 May 2016

Lettera aperta della “Coalizione 27 febbraio”: proposta di assemblea

Siamo le lavoratrici e i lavoratori autonomi e precari della “Coalizione 27 Febbraio”.

Ci identifichiamo nel Quinto Stato: «… una condizione incarnata in una popolazione fluttuante, composta da lavoratrici e lavoratori indipendenti, precari, poveri al lavoro, lavoratori qualificati e mobili, sottoposti a una flessibilità permanente».

Ci siamo incontrati, poco più di un anno fa, per la prima volta a Roma, convinti che solo l’azione e le lotte congiunte di figure del lavoro eterogenee – connesse dalla intermittenza, dalla precarietà e dall’assenza di welfare – avrebbe potuto accendere i riflettori sulla nostra condizione, che è comune a milioni di donne e di uomini. Liberi professionisti, precari, lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, studenti, ricercatori a tempo, parasubordinati, accomunati dall’essere sostanzialmente privi di diritti sociali e previdenziali, o dal possederne in misura assai ridotta, abbiamo dato vita insieme a un movimento di idee e di lotte culminato nella produzione della Carta dei diritti e dei principi del lavoro autonomo e indipendente.

Questo movimento – fatto anche di manifestazioni pubbliche presso le istituzioni del welfare, dalla sede centrale INPS al Ministero del lavoro – ha generato una rinnovata attenzione dei media, nello scorso autunno, verso le rivendicazioni del lavoro autonomo e professionale. Nello stesso periodo, in coincidenza con la nascita della Carta della C27F, il Governo annunciava trionfalmente l’approvazione del cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo, un breve Disegno di Legge contente alcune norme interessanti in tema di certezza dei pagamenti, accesso ai Fondi europei, tutela della malattia, deducibilità fiscale delle spese di formazione, e molte norme sbagliate (vedi il Titolo II sul lavoro agile).

Sebbene applicabili per larga parte esclusivamente ai lavoratori iscritti alla gestione separata INPS, e sebbene assolutamente insufficienti, da sole, a fornire al lavoro autonomo un grado di tutela dignitoso, le norme del Disegno di Legge governativo Del Conte (il suo estensore) sono apparse indicatore di una nuova attenzione politica nei confronti di una componente del mondo del lavoro di fatto abbandonata a sé stessa, sottoposta a una fiscalità iniqua e regressiva, costretta a una previdenza dai costi insostenibili e tuttavia incapace di erogare prestazioni adeguate.

Oggi, a distanza di mesi, del Disegno di Legge Del Conte non vi è più traccia. Dimenticato dalla comunicazione mainstream, evidentemente espunto dall’agenda del Governo, rischia di essere ricordato più come uno spot elettorale che come un reale passo avanti nella tutela di una categoria di lavoratrici e lavoratori che, da sola, crea almeno il 18 % del PIL annuo.

Per contro, la Carta dei diritti e dei principi del lavoro autonomo e indipendente vive e cresce, e non si ferma il dibattito interno alla “Coalizione 27 febbraio”. Nata come proposta aperta, la Carta è arrivata alla sua versione 3.0, con due obiettivi fondamentali: conquistare e promuovere tutele e welfare universali, indipendentemente dalla tipologia di lavoro svolto; e difendere e conquistare un principio fiscale di tipo realmente e decisamente progressivo.

Noi lavoratrici e lavoratori della “Coalizione 27 febbraio” riteniamo che il nodo del lavoro autonomo e indipendente debba tornare al centro del dibattito pubblico. Le recentissime dichiarazioni di Boeri circa le pensioni dei nati negli anni ’80, la annunciata riforma governativa del sistema Fornero, le fosche prospettive di INPS ma anche delle casse di previdenza private (che intorno agli anni 2030-2040 rischieranno il disavanzo fra entrate e uscite previdenziali, con i conseguenti rischi circa l’effettiva erogabilità delle pensioni) impongono, a nostro giudizio, una ricerca comune di soluzioni reali e inclusive, nonostante e contro l’austerity imposta dal neoliberalismo europeo. Diversamente, «si lavorerà per più di quarant’anni con redditi esigui per non avere, in sostanza, una pensione. I lavoratori poveri e discontinui avranno collaborato alla sostenibilità di un sistema che li esclude. (…) Il quinto stato di milioni di persone non potrà sopravvivere con il lavoro povero e precario, senza tutele e nemmeno un reddito minimo o di base».

Facciamo quindi appello a tutte le lavoratrici e i lavoratori autonomi, a tutte le associazioni professionali, ai sindacati, a tutti i movimenti impegnati nella lotta alla precarietà esistenziale ed economica di intere generazioni, per un’assemblea pubblica di confronto – da tenersi il 21 maggio, ore 18, presso Esc Atelier, a Roma in via dei Volsci 159 – su temi e proposte di lotta per un reddito minimo garantito, l’estensione degli ammortizzatori sociali, previdenza equa e sostenibile sia per i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS che per quelli che fanno riferimento alle casse private, fiscalità realmente e fortemente improntata al principio di progressività, giusto compenso. L’assemblea segnerà il primo passo verso una nuova la mobilitazione, uno Speaker’s corner presso Montecitorio da costruire con tante e tanti, magari già nel mese di giugno.