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La resa dei conti

30 January 2014

di Alberto De Nicola e Francesco Raparelli

Sono almeno quattro anni, da quando è esplosa la crisi dei debiti sovrani (Grecia, maggio 2010), che insistiamo sulla necessità di utilizzare la categoria marxiana di «accumulazione originaria» per comprendere la gestione neoliberale o più propriamente ordoliberale (ovvero la singolarità tedesca all’interno del campo neoliberale) della seconda Grande Depressione. In cosa consisterebbe questa rinnovata «accumulazione originaria» che investe, tramite la leva del debito pubblico e la continua, violentissima, pressione dei mercati finanziari, i paesi del Sud Europa? Privatizzazione delle public utilities e dei commons (naturali e artificiali); riduzione dei salari, aggressione al reddito, aumento smisurato della disoccupazione.

Rissa politica dopo rissa politica, teatrino dopo teatrino (e l’anti-politica è parte del gioco), in Italia si è tentato in tutti modi di nascondere questa verità, ripetendo il mantra: “noi non siamo come la Grecia”. Infatti. La scorsa settimana, a Davos, il ministro dell’Economia Saccomanni ha annunciato che nei prossimi due anni il 40% delle Poste passerà in mano ai privati; lunedì scorso, a Mestre, Electrolux ha chiarito ai sindacati che, per non chiudere i suoi 4 stabilimenti italiani (ma per chiuderne solo 1, quello di Porcia), dovrà tagliare del 40% i salari: questa è la realtà – il resto sono chiacchiere – dell’«accumulazione originaria» che sta ridisegnando l’Europa.

Tutto ciò accade mentre negli Stati Uniti, con un atto “unilaterale”, Obama innalza il salario minimo da 7,25 a 10,10 dollari per i lavoratori di aziende che hanno rapporti con l’Amministrazione federale. Molto poco, considerando i milioni di lavoratori US esclusi dal provvedimento, ma sicuramente episodio di segno diverso rispetto a quello di Electrolux. Evento inimmaginabile, occorre aggiungere, senza la durezza delle lotte e degli scioperi che in questi mesi hanno attraversato l’America (dai lavoratori dei Fast Food ai portuali, dai servizi a Walmart) mettendo al centro la questione salariale. Ancora: la Grosse Koalition tedesca, e lo abbiamo ricordato in altre occasioni, è nata a partire dalla concessioni della CDU (ripagate con l’abbandono della proposta SPD degli Eurobonds) sul salario minimo.

Come spiegare queste tendenze di segno opposto? Serve ancora riflettere a partire dalle categorie di Stato-nazione o di imperialismo (ad esempio quello tedesco in Europa)? Evidentemente no. Si tratta di cogliere la ridefinizione, a mezzo della crisi e della sua cronicizzazione, del mercato del lavoro, europeo e globale. Una ridefinizione fatta di rinnovata «divisione internazionale del lavoro», gerarchie salariali, impoverimento e mobilità. Non è casuale, in questo senso, che il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, insista sulla mobilità della forza-lavoro, in particolare quella qualificata, come antidoto alla disoccupazione nei PIIGS.

Seguendo le linee di movimento/migrazione e la gerarchie imposte dal capitale europeo e globale (senza alcuna distinzione “morale” tra capitale finanziario e produttivo) e, in Europa, dai dispositivi governamentali, occorre rilanciare, con forza pratica, l’offensiva sul programma: nessuno sciopero difenderà a sufficienza la “tendenza-Electolux” senza una pluralità di lotte, di estensione continentale, capaci di pretendere salario e reddito minimo europeo. Bene che gli scioperi, anche locali ci siano, bene che la resistenza dei lavoratori di Porcia o di Susegana sia potente, ma con la consapevolezza che solo una generalizzazione dello scontro, in prospettiva, può fare la differenza.