Mercoledì 28 marzo,
ore 18 presso Esc – Atelier autogestito (via dei Volsci 159) ::
SMart e le CLAP a confronto ::
Intervengono: Chiara Faini e Francesco Raparelli ::
Introduce e modera: Riccardo Antoniucci ::
Cosa si nasconde dietro al dibattito sul Reddito di cittadinanza, cosa propongono realmente i 5 Stelle e di cosa ci sarebbe bisogno ::
Finalmente, dopo anni in cui il dibattito era relegato a strette cerchie di economisti, sociologi e attivisti, il Reddito di base (o di cittadinanza, o minimo) appare sul palcoscenico della grande politica. Il Movimento 5 Stelle trionfa nell’ultima tornata elettorale e sbandiera nel suo programma, proprio al primo punto, l’introduzione del Reddito di cittadinanza: nei giorni successivi si scatena lo scherno degli avversari politici, che accusano l’elettorato 5 Stelle di essere ingenuo, fannullone e di cercare “soldi facili”, senza lavorare. Contestualmente, si moltiplicano le ricerche in rete sul «Reddito di cittadinanza» e molte persone (fake news o verità?) si rivolgono ai CAF per chiedere il Reddito promesso in campagna elettorale.
O’ miracolo, o’ miracolo! Non c’è che dire, anche questa volta Renzi, Poletti, Del Conte, Nannicini e Gentiloni ce l’hanno fatta. I dati sull’occupazione pubblicati lo scorso martedì 9 gennaio dall’ISTAT lo confermano: l’Italia è fuori dal guado, lavorano tutti, ma proprio tutti. O quasi. «Si tratta del dato migliore degli ultimi quarant’anni» (nell’annus horribilis 1977 l’ISTAT ha cominciato a ricostruire le serie storiche trimestrali e la media annua): twittano entusiasti i membri dell’esecutivo-senza-sosta Gentiloni. «Il Jobs Act ha funzionato», insiste Renzi, cercando di intestarsi i 23,1 milioni di occupati fotografati a novembre scorso. Bene, bravi, (Gentiloni)bis. Così la parola d’ordine mediatica (e padronale).
Una Carta per (ri)aprire il dibattito e lanciare una grande “Alleanza per il Reddito”, un documento per tornare a discutere e organizzare una campagna sociale, sindacale e politica in grado di dire poche cose, semplici ma radicali, e di segnalare quanto si nasconde dietro la misura introdotta dal PD (ReI) e la proposta dei Cinque Stelle: umiliazione e governo dei poveri. Apriamo la discussione a Esc, il 13 Dicembre dalle ore 17, con la presentazione di Reddito di cittadinanza, emancipazione dal lavoro o lavoro coatto? (ed. Asterios), di Giuliana Commisso e Giordano Sivini; il giorno dopo, ore 16 presso l’Università “Sapienza” (Scienze politiche, Aula Professori), incontro con il BIN (Basic Income Network). La discussione si sposterà poi in molti altri territori, affinché, col nuovo anno, la campagna possa spiccare il volo a livello nazionale. >> Read more
La maggior parte dei lavori che riguardano lo studio, la tutela, la promozione e la gestione del patrimonio storico e turistico è da sempre, per ragioni storiche e culturali, campo di sperimentazione e paradigma di lavoro precario, sottopagato e addirittura gratuito.
Per sua stessa costituzione, sembra che dai tempi di Schielimann in poi il mestiere dell’archeologo e tutti quelli a esso collegati non debbano avere, come qualsiasi altra prestazione lavorativa, un corrispettivo economico ma che sia sufficiente come ricompensa una incommensurabile, impagabile e sconfinata passione. È da queste radici culturali che si è fondato il principio di sfruttamento delle professioni legate al patrimonio culturale tangibile, in Italia ma non solo.
Il lavoro dello spettacolo, in Italia. Precario, sotto-pagato, senza protezioni
:: Da qualsiasi angolazione si guardi quel composito universo chiamato “mondo dello spettacolo”, le sue condizioni economiche, produttive e contrattuali, sembrano essere vaghe come le stelle dell’Orsa.
Veniamo al settore dello spettacolo dal vivo, in particolare al teatro visto che è l’ambito in cui chi scrive lavora e che conosce meglio. Gli antefatti sono noti: tra i più clamorosi i tagli drastici al FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo, in pratica la totalità dei contributi erogati annualmente dallo Stato per cinema, danza, musica, teatro lirico e di prosa) portati avanti da più o meno tutti i governi degli ultimi vent’anni, soppressione dell’ETI (Ente Teatrale Italiano, quello che gestiva, tra gli altri, il Teatro Valle).