Ieri (19 aprile) un gruppo di precari e disoccupati si è recato all’INPS di Roma per richiedere il reddito. I requisiti richiesti dal ReI (Reddito di Inclusione) – come più volte abbiamo segnalato – sono molto restrittivi; una misura di welfare inaccessibile ai più, tra l’altro sotto-finanziata. E intanto, mentre gli esponenti dei vari partiti continuano a discutere tra loro per formare il nuovo governo, donne e uomini non riescono ad arrivare a fine mese. Il mercato del lavoro è sempre più sbilanciato a favore delle aziende, e lavoratrici e lavoratori versano in condizioni peggiori di quelle di dieci anni fa.
La campagna “Reddito subito”, promossa da precari e disoccupati (a Roma e in diverse città italiane), vuole spezzare questa ruota, che gira ormai da troppo tempo. Qui di seguito, il testo del volantino che lancia la mobilitazione.
La Sciopero torinese, punto d’avvio e simbolo importante del conflitto nella Gig Economy, raggiunge anche il Tribunale: l’11 aprile prossimo ::
Le mobilitazioni dei fattorini di Foodora, esplose a Torino nell’autunno del 2016, segnarono l’alba di un ciclo transazionale di lotte nel settore del food-delivery, capaci di denunciare le profonde contraddizioni dell’intero sistema della Gig Economy, sospeso tra tecnologie avanzate di organizzazione del lavoro attraverso le piattaforme digitali e condizioni neo-feudali dei lavoratori (paghe a cottimo, assenza delle garanzie minime, arroganza dell’azienda). Quelle lotte hanno saputo catturare l’attenzione mediatica e sviluppare un’indignazione diffusa rispetto allo sfruttamento esasperato a cui i riders sono sottoposti.
È ora di alzare la testa, è giunto il momento di agire!
Il 24 aprile dalle ore 9:30 ci incontreremo sotto la sede centrale dell’INPS, all’Eur, per raccontare le nostre storie ed incrociare le nostre lotte. Sarà lo Speakers’ Corner di tutt* coloro che si battono per una previdenza equa, una fiscalità sostenibile, un welfare universale.
Cosa chiederemo il 24 aprile:
* correttivi solidaristici al sistema contributivo;
* sblocco immediato dei pagamenti della DIS-COLL;
* sblocco immediato per le indennità dei tirocinanti iscritti al programma Garanzia giovani;
* rivalutazione del montante contributivo, realisticamente conveniente, almeno parametrata al rendimento dei titoli di stato;
* una “pensione minima di cittadinanza” indipendente dal montante contributivo accumulato;
* un’aliquota della gestione separata effettivamente sostenibile; non solo il blocco degli aumenti previsto dalla riforma Fornero, ma l’avvio di un piano di riduzione sui parametri europei;
* estensione universale del welfare (malattia, maternità, ammortizzatori sociali) e reddito di base.
Queste sono solo alcune delle nostre richieste. Le altre le scriverete voi che leggete e che, con tutti noi, darete vita alla mobilitazione del 24 aprile. Scrivete e inviateci (a carovanadeidiritti@gmail.com), entro venerdì 10 aprile, le rivendicazioni da aggiungere: saranno inserite nella lettera aperta che invieremo al presidente Tito Boeri, chiedendogli di essere ricevuti il 24 aprile stesso.
Coalizione 27 febbraio
A Roma diverse reti sociali si stanno confrontando sulla necessità di costruire uno spazio pubblico di movimento che abbia al centro la rivendicazione del reddito di base e incondizionato (RBI) e la riconquista dei diritti dentro ed oltre il lavoro. Negli ultimi anni la crisi e le politiche di austerity adottate dietro “il ricatto del debito” hanno agito come un dispositivo di “livellamento verso il basso” – facendo regredire garanzie sociali e i diritti acquisiti – seppur con un intensità diversificata e stratificata, rendendo la precarietà una condizione sociale generalizzata. Le riforme Monti-Fornero hanno ulteriormente flessibilizzato il mercato del lavoro e tagliato i fondi del nostro sistema previdenziale e welferistico. Questa è una bozza in progress di una carta d’intenti, immaginata come strumento di sensibilizzazione e ricomposizione sociale che si pone come obiettivo praticabile quello di aprire un confronto vero tra le diverse realtà sociali attive da anni su questo terreno: il sindacalismo conflittuale, i movimenti per il diritto all’abitare, le rete associative, i collettivi di precari, le reti studentesche, i lavoratori precarizzati, i centri sociali e tutti coloro che vogliono contribuire ad intensificare, coordinare e generalizzare il conflitto sociale necessario per imporre in forma adeguata il reddito di base e incondizionato come orizzonte di ridefinizione dei nuovi diritti.
· L’Italia resta al di fuori dei parametri europei continuando a disporre di un lacunoso ed iniquo sistema di ammortizzatori sociali che esclude il variegato universo dei precari e dei soggetti non coperti da nessun sistema di protezione sociale.
· L’istituzione di un reddito di base e incondizionato rappresenta un mezzo per lottare contro la precarietà (sociale e) lavorativa e il basso livello di remunerazione (in Italia i salari sono tra i più bassi d’Europa), evitando che una parte crescente della popolazione – com’è avvenuto nei 6 anni di crisi – cada nella “trappola della povertà”. Il reddito di base e incondizionato fornirebbe ai precari e ai precarizzati il potere di non accettare qualsiasi lavoro e di opporsi alla precarizzazione. Quindi il reddito di base e incondizionato è un freno alla politica di ribasso del costo del lavoro.
· Per reddito intendiamo un intervento economico universale ed incondizionato, ovvero l’erogazione di una somma monetaria a scadenza regolare e perenne in grado di garantire la riproduzione delle vite singolari. Oltre al reddito diretto vogliamo garantiti i bisogni comuni (formazione, comunicazione, mobilità, socialità, abitare) attraverso forme di reddito indiretto che possono essere erogate attraverso le competenze degli enti locali (in questo senso la Legge 4/2009 nella regione Lazio dovrebbe garantire questi diritti).
·Il reddito è il riconoscimento della produzione sociale permanente di cui siamo portatori, ricompensa forfettaria dell’appropriazione finanziaria che le forme della cattura e sottomissione producono dentro le leve della nuova valorizzazione capitalistica, della sua continua innovazione produttiva e tecnologica. Quindi non si tratta esclusivamente di redistribuire la ricchezza- il ché non sarebbe poco in questo momento, se avvenisse senza il ricatto dell’impiego precario da accettare – ma si tratta anche di riconoscere – e quindi retribuire – la produzione sociale che avviene ogni giorno.
· Il reddito è un diritto fondamentale della persona (quindi soggettivo) che tutela il diritto ad un’esistenza autonoma, libera e dignitosa, indipendentemente dalla prestazione lavorativa effettuata per questo respingiamo i provvedimenti annunciati dal neo-governo Letta che parlano di reddito minimo esclusivamente per le famiglie bisognose con figli a carico.
· Il reddito è un diritto non discriminante nei confronti di nessuno che deve essere erogato a nativi e migranti a prescindere dalla cittadinanza perché concorre a definire la piena cittadinanza sociale e il pieno godimento delle libertà civili.
· Il reddito non è un sussidio di povertà, quindi non è una forma di salarizzazione della miseria e dell’esclusione sociale. Il reddito non è un sussidio di disoccupazione.
· Il reddito non è vincolato all’accettazione di nessuna offerta formativa e/o lavorativa, di conseguenza non ha un regime sanzionatorio, fondamentale strumento di controllo sociale utilizzato nelle attuali politiche attive del lavoro basate sulwelfare to work.
· Partendo dalla rivendicazione di reddito (RBI) chiediamo che venga istituito per tutti e tutte a prescindere dalla cittadinanza un salario minimo orario che stabilisca il principio che un’ora di lavoro non venga pagata meno di un certo valore.
· Nonostante il nostro iniquo ed arbitrario sintema di ammortizzatori sociali ci sembra fondamentale sostenere le lotte per il rifinanziamento delle cassintegrazioni in deroga
.
· Per costruire un senso comune che ricomponga la rivendicazione del reddito con quella della liberazione di parte del tempo di vita con la riduzione d’orario a parità di salario per redistribuire intanto il lavoro che c’è, riteniamo fondamentale sostenere e promuovere iniziative di lotta come l’esproprio e l‘autogestione delle aziende che chiudono riappropriandosi di parte della ricchezza socialmente prodotta.
Riforma Fornero – legge 28 giugno 2012, n.92.
La “legge Fornero” aveva come incipit alla sua creazione le finalità di migliorare la flessibilità in entrata, riducendo le tipologie contrattuali atipiche e temporanee a favore di quelle a tempo indeterminato, e di introdurre nuovi elementi a favore della flessibilità in uscita, sia in materia di licenziamento (modifica dell’art. 18) che di ammortizzatori sociali.
La prima finalità è però contraddetta dalla modifica più importante introdotta in materia di contratti temporanei, con la possibilità di stipulare il primo contratto a termine, o di lavoro somministrato, senza la necessità di specificare la ragione per cui si assume a termine, con un limite massimo di durata che può arrivare fino a dodici mesi.
Questa modifica peggiora gravemente la condizione sociale dei lavoratori precari, destinati a passare da un’impresa all’altra e da un “primo” contratto a termine o somministrato all’altro, senza possibilità di crescita professionale e perdendo la possibilità di far valere i diritti collegati alla carenza di una reale necessità da parte dell’impresa di impiegare solo temporaneamente quel lavoratore.
In merito alla riduzione delle tipologie contrattuali, l’unico contratto eliminato è il contratto di inserimento, del quale peraltro viene meno la necessità per le imprese, libere ora di assumere a termine.
Sulla seconda finalità, la Riforma Fornero è finalizzata a rinnovare la normativa in materia di licenziamento modificando l’art. 18. Per quanto rigurda i licenziamenti, sono cambiati i tipi di conseguenze in cui il datore di lavoro incorre nel caso di provvedimento illeggittimo, ma non sono cambiati i tipi di licenziamento: i licenziamenti discriminatori e quindi nulli; i licenziamenti per motivi disciplinari, con applicazione, secondo i casi nell’ipotesi di annullamento del licenziamento, della reintegrazione ovvero dell’indennità risarcitoria; i licenziamenti per motivi economici, con applicazione solo eventuale della reintegrazione (nei casi di più manifesta ingiustificatezza) o del solo indennizzo.
Fino alla riforma, la reintegrazione rappresentava l’unica conseguenza in caso di licenziamento illeggittimo. Adesso il reintegro continua ad applicarsi per il licenziamento orale e per quello discriminatorio, per gli altri casi si prevede un’indennità risarcitoria, il cui ammontare è quantificato dal Giudice a secondo che sia una violazione formale (da sei a dodici mensilità) o un provvedimento insufficentemente motivato (da dodici a ventiquattro mensilità).
Sembra evidente che le conclusioni di molti ricorsi di impugnazione dei licenziamenti economici, che saranno la stragrande maggioranza se non addirittura l’esclusività, dovranno essere finalizzate a rivendicare la discriminazione, il motivo illecito determinante e la sanzione disciplinare simulata, dopo avere smontato (ove possibile) la motivazione economica.
La finalità di rinnovare il sistema di welfare si riducono nella creazione dell‘Aspi una sorta di sussidio di disoccupazione di durata di massimo 12 mesi e di contenuto modesto, privo di un reale carattere di universalità, poiché si attiva solo al versamento preventivo di contributi da parte del disoccupato. Sono esclusi coloro che il posto di lavoro non l’hanno mai avuto o che lo hanno avuto per un periodo contributivo inferiore al minimo stabilito dalla legge (almeno 13 settimane contributive nel periodo di un anno per poter accedere alla mini Aspi).
[SCARICA Legge 28 giugno 2012, n.92 ]
Riforma del Collegato Lavoro – legge 4 novembre 2010 n. 183.
Con la legge del 4 novembre 2010 n. 183 e’ stato introdotto l’obbligo di impugnazione entro 60 giorni per ogni forma di cessazione (scadenza o interruzione) di tutti i contratti atipici (contratti a termine, collaborazioni a progetto, somministrazione etc.). Tale obbligo è inoltre esteso nei casi di allontanamento verbale dal posto di lavoro. Questa formula appare come un condono alle aziende che hanno in questi anni abusato del lavoro precario ai danni dei propri dipendenti, e sicuramente è il tratto più preoccupante, ma non l’unico, del Collegato Lavoro.
Sostanzialmente le altre modifiche vedono l’introduzione della possibilità di spostare le vertenze di lavoro dall’autorità giudiziaria a collegi arbitrali, privatizzando in questo modo la funzione dei giudici del lavoro. Allo stesso modo la certificazione dei contratti di fatto “regolarizza” la ricattabilità che prima era implicita nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, anziché risolverla.
Viene, infine, forfetizzato il risarcimento del danno dovuto al lavoratore che si sia visto riconoscere l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Mentre prima il risarcimento era commisurato alle mensilità perse per effetto dell’illegittima cessazione del rapporto di lavoro, ora viene liquidato fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione.
[ SCARICA Legge 4 novembre 2010 n. 183 ]
Legge Biagi – legge 14 febbraio 2003 n. 30.
La legge del 14 febbraio 2003 n. 30 ha normato un elevato numero di forme contrattuali flessibili. In realtà, forme come il lavoro ripartito, il lavoro a chiamata o lo staff leasing sono poco o per nulla usate. Le società (soprattutto quelle medio-piccole), hanno sfruttato solo una piccola parte dell’ampio ventaglio di soluzioni messo a disposizione.
Il contratto a progetto (co.co.pro.) è divenuta la forma prevalente di regolazione del rapporto di lavoro; con la Legge Biagi/Maroni l’azienda può assumere lavoratori di tipologia flessibile in base ad un “progetto” in cui indica lo scopo della prestazione e la sua durata. L’assunzione di lavoratori formalmente autonomi ha comportato un risparmio per le aziende, ma una penalizzazione per i lavoratori, spesso impiegati come veri e propri lavoratori subordinati ma senza gli stessi diritti dei loro colleghi. L’abuso di tale contratto inoltre esclude un percorso professionale che porti all’assunzione a tempo indeterminato, perciò lascia il lavoratore in una situazione di precarietà “cronica”: non ha diritto alla formazione, è completamente escluso dalla partecipazione all’attività dell’azienda, e versa in una situazione di debolezza, nella quale, di fronte al rischio di un mancato rinnovo contrattuale, più difficilmente rivendica i suoi diritti salariali e di sicurezza. Questa condizione di precarietà ricade sull’impossibilità di una progettualità di vita.
In primo luogo, alla flessibilità del lavoro, di fatto non è seguita una riforma parallela degli ammortizzatori sociali. In secondo luogo, nel mercato del lavoro, le retribuzioni e i livelli di qualifica non sono proporzionate al livello di istruzione crescente delle ultime generazioni e alle aspettative di mobilità sociale: in un contesto economico in cui non è facile il ricollocamento nel mondo del lavoro, i lavoratori sono più ricattabili.
E’ la realizzazione più potente della precarizzazione del lavoro e conseguentemente delle nostre vite.