Una premessa è doverosa: ci sembra evidente che la chiusura dei centri commerciali la domenica non risolva di colpo i problemi che affliggono il lavoro nel commercio, e il lavoro in generale. I temi restano sempre gli stessi e sono: la precarietà, il ricatto che questa porta con sé, i bassi salari, il mancato rispetto dei diritti contrattuali. La ricetta per affrontarli: l’esplosione e lo sviluppo duraturo di conflitti e battaglie sindacali, dentro e fuori i posti di lavoro. Una volta chiarito questo punto, per noi abbastanza ovvio, vediamo perché – spoiler allert – la proposta è a nostro avviso tutt’altro che sbagliata. Su alcune questioni dovremo procedere per semplificazioni, altrimenti non basterebbero 6-7 pagine, speriamo però di farci comprendere senza equivoci.
È doveroso chiarire: l’unico che ha detto la verità, in questi anni, è stato Maurizio Sacconi. Alle studentesse e agli studenti dell’Onda, che per un biennio e in completa solitudine hanno provato a resistere all’offensiva neoliberale scatenata dalla crisi finanziaria, indicò senza giri di parole: «abituatevi a fare lavori umili e manuali». Un modo elegante per affermare, con largo anticipo, che «la pacchia è finita». Dall’eleganza del craxiano non pentito alla strafottenza dei tecnici cari alla sinistra; da «bamboccioni» a «choosey». La volgarità di Poletti, poi, ha toccato l’apice: in riferimento alla fuga giovanile dall’Italia, l’ex ministro non si è trattenuto… «meglio non averli tra i coglioni».
Con i drammatici fatti del foggiano degli scorsi giorni, e la potente mobilitazione organizzata dall’USB, torna all’attenzione pubblica la Legge 199/2016. Vi riproponiamo dunque un approfondimento dell’Avvocato Alessandro Brunetti, proprio a quella norma dedicato e che pubblicammo per la prima volta agli inizi del 2017
:: A distanza di cinque anni dall’ultima novella, si è intervenuto ancora una volta sull’articolo 603-bis del codice penale, contenente il reato di Intermediazione illecita e Sfruttamento del lavoro. L’azione di governo era evidentemente rivolta a un ambito immaginato come specifico e marginale, una sorta di mercato differenziale, dedicato alle forme più estreme e violente di spoliazione e profitto. Ciò senza accorgersi che tutti gli interventi normativi sul lavoro posti in essere (quantomeno) dal “pacchetto” Treu a oggi, hanno prodotto smottamenti tali da allargare a dismisura gli effetti giuridici della fattispecie, ben oltre le intenzioni degli estensori.
Dopo la catastrofe del Jobs Act, gli interventi sul lavoro del governo giallo-verde vengono definiti di “sinistra”. Ma sotto il “buon senso”, si nascondono pochezza e insidie. Bene chiarire, subito.
Due premesse fondamentali. La prima: il Decreto dignità non cancella la chiusura dei porti né renderà inoffensiva la flat tax. Che in Italia ci siano due governi, evidentemente in competizione, ci è chiaro; che il governo dei 5S riesca a sopravvivere a quello di Salvini, tutto da dimostrare; che la Lega stia trainando la diarchia, al momento, è più che una certezza. Seconda premessa: le reazioni del PD al Decreto dignità, tutte rigorosamente dalla parte delle imprese e dei poteri forti, spiegano – se ancora ce ne fosse bisogno – lo spostamento a destra della società italiana; con esso, il mostro populista che ci tocca in sorte. Più il PD parla, più lo scenario weimariano impazza, più Salvini ride.