Dal 2 al 4 ottobre scorsi, CLAP ha partecipato al I Transnational Strike Meeting che si è svolto a Poznan. Tanto nei workshop che nelle assemblee plenarie il confronto si è soffermato sul problema/rompicapo della sindacalizzazione del lavoro vivo contemporaneo. CLAP ha dato il suo contributo, raccontando l’esperienza fatta in questi 2 anni di attività. Molti degli intervenuti – dall’Europa dell’Est, dalla Germania, dalla Regno Unito – hanno espresso interesse per CLAP e le lotte che sta sostenendo al fianco di precari e autonomi. Per questo, pubblicando l’articolo che segue, scritto da Francesco Raparelli per la rivista “Inchiesta” e tradotto da Eva Gilmore, abbiamo deciso di avviare una sezione multilinguistica, utile a rafforzare la connessione e condivisione europea degli strumenti e dei conflitti.
di Roberto Ciccarelli*
«È un grave errore considerare le problematiche dei self employed come separate e incompatibili con quelle di tutte le altre figure della new economy dell’era digitale. Il tema della new workforce, della workforce of the future [Forza lavoro del futuro, ndr] è centrale: sia che lo si tratti dal punto di vista sociologico, politico, giuridico, culturale o antropologico, è destinato a crescere d’importanza» scrive Sergio Bologna nel pamphlet: La New Workforce. Il movimento dei freelance (Asterios, pp.50, euro 7), un agile libro che può essere considerato come la guida alla trasformazione del lavoro indipendente negli Stati Uniti e in Europa, Italia compresa.
Lo storico del movimento operaio, già autore della tesi sul «lavoro autonomo di seconda generazione», oggi continua a esplorare il continente emerso del quinto to, cioè di coloro «che lavorano per conto proprio, che non hanno un salario perché non dipendono da imprese private o amministrazioni pubbliche, lavorano da sole senza collaboratori salariati». Per molto tempo, la maggioranza dei lavoratori indipendenti negli stati capitalisti è stata costituita da tre categorie di persone: «i contadini piccoli proprietari di un terreno o coltivatori diretti e i piccoli commercianti che tengono un negozio» scrive Bologna.
Il rapporto 2015 dell’Ocsel, l’osservatorio sulla contrattazione di secondo livello della CISL, ha censito 4.100 accordi siglati tra il 2009 e il 2014. Tanti. La lezione è semplice: non è vero che con la crisi si è fermata la contrattazione; è vero che si contratta diversamente. La contrattazione di secondo livello, neanche a dirlo, ha come obiettivo principale il contenimento o la riduzione del salario. Nel 2009, infatti, la contrattazione sugli aumenti salariali ricorreva nel 53% degli accordi, nel 2014 nel 13%. La CISL, lo stesso sindacato che paga ai suoi funzionari compensi superiori ai 300 mila euro l’anno (circa 25 mila euro al mese, poco meno di 1.000 euro al giorno), si compiace per il lavoro fatto. La CISL, esperimento riuscito di sindacato neoliberale, dalla parte dei più forti.
Tra i target autunnali delle imprese, conseguentemente di Renzi, c’è proprio la contrattazione. Ridurre al minimo quella nazionale, liberandola dai contenuti redistributivi; estendere al massimo quella aziendale. Spostando interamente – salvo i minimi (?) – la contrattazione salariale sul piano aziendale, il salario si trasforma in variabile dipendente dai risultati. Di più, si scambia salario con welfare aziendale: meno soldi ma il nido per i bimbi, tanto quello pubblico, distrutto dalla spending review, non sarà mai disponibile. Tutto torna.
L’assemblea della “Coalizione dello Sciopero sociale” della scorsa domenica si è svolta in un clima di sospensione. Sospesa l’Europa neoliberale, in attesa dei risultati del referendum greco. La vittoria del “No”, epocale, ancora non chiarisce gli esiti del braccio di ferro tra il governo Tsipras e i creditori, e il destino dell’Europa rimane incerto. Con sicurezza possiamo dire che una breccia democratica si è aperta nella «gabbia d’acciaio» della tecnocrazia finanziaria, continentale e globale.
È all’interno di questo clima – nella consapevolezza che viviamo tempi di smottamenti radicali – che si è dipanata l’assemblea. Momento di passaggio utile per riprendere i fili del percorso avviato con lo Strike Meeting del settembre 2014, che ha definito una discontinuità potente con lo Sciopero sociale del 14 novembre e che, a partire dall’inedito esperimento autunnale, ha provato ad articolare nuovi dispositivi di sindacalizzazione diffusa. Senza nascondersi lacune ed elementi di blocco, la discussione si è concentrata sul desiderio di dare consistenza organizzativa alla coalizione messa in campo. Convinti che nessuno, in questa fase, è autosufficiente, e che la pluralità di coalizioni in campo nella scena italiana ed Europea non può che esser accolta, e attraversata, come fenomeno ricco e stimolante.
Importante la mattinata (1.07) appena trascorsa: lo Speakers’ Corner delle Lavoratrici e dei Lavoratori dell’accoglienza ha centrato l’obiettivo, per partecipazione, radicalità del discorso, capacità di strappare il tavolo/negoziato con l’assessorato alle Politiche sociali. Ora si tratta di perseverare e dare continuità alla lotta, fino a quando non saranno stati conquistati i salari dovuti per il lavoro svolto, i diritti per un lavoro qualificato e impegnativo come quello dell’accoglienza, sfruttato senza sosta dalle Cooperative e privo di tutele. CLAP ha sostenuto e sostiene A.L.A., solidale con la sua lotta, al fianco di chi pretende di farla finita con precarietà, sotto-solari, mancati pagamenti (o ritardi infiniti negli stessi): NON si lavora gratis, NON si lavora senza diritti!
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Comunicato stampa
A.L.A. – Assemblea delle Lavoratrici e dei Lavoratori dell’Accoglienza
Il sistema d’accoglienza di questo Paese e soprattutto di Roma costringe gli operatori sociali dei centri per migranti, richiedenti asilo e rifugiati a lavorare in condizioni di forte precarietà, sfruttamento e ricatto continuo. Ritardi nei pagamenti, mancanza di chiarezza sulle mansioni da svolgere, non riconoscimento delle competenze individuali, richiesta di estrema flessibilità, assenza di controlli sanitari e sui contratti sono solo alcune delle problematiche che questi lavoratori affrontano ogni giorno.
Di certo non basta “Mafia Capitale” a risolvere simili problemi. Anzi, in molti casi le conseguenze di questa inchiesta rischiano di ricadere proprio sulle spalle degli operatori. Infatti, mentre le cooperative indagate continuano a vincere nuovi appalti per aprire nuovi centri, il pagamento degli stipendi è bloccato da mesi e non sembra, a livello istituzionale, esserci la minima idea di come organizzare l’accoglienza in questa città.
A.L.A. (Assemblea dei Lavoratori e delle Lavoratrici dell’Accoglienza) ragiona da mesi sul sistema d’accoglienza, convinta che lo sfruttamento di operatori e ospiti sia frutto degli stessi meccanismi, funzionali a garantire il profitto delle cooperative.
Nelle ultime settimane, in molti tra media main stream e figure istituzionali hanno preso parola rispetto agli sviluppi dell’inchiesta, che ha coinvolto i principali soggetti che accumulano profitti sull’accoglienza romana. Pensiamo ci sia una voce mancante: quella di chi lavora nei centri, di chi vive sulla propria pelle le storture del sistema d’accoglienza e che non vuole più rimanere in silenzio.
di Francesco Raparelli e Cristian Sica
Poco dopo la tornata elettorale, che ha avuto come protagonisti l’astensione e il naufragio del Partito della Nazione, arrivano i numeri tanto attesi: il rapporto ISTAT indica, nel mese di aprile, una lieve riduzione della disoccupazione (0,2%), e soprattutto di quella giovanile (che comunque supera il 40%). Se letti con maggiore attenzione, e raffrontati a quelli raccolti nelle ultime settimane, emerge un quadro di gran lunga diverso. È urgente dunque un’opera di demistificazione, capace di cogliere la verità del processo in atto e di indicare – a un’iniziativa di movimento che non si rassegna alla marginalità – i punti di attacco. Ciò che proviamo a fare nel breve testo che segue.
1. Il Jobs Act è la quinta riforma del mercato del lavoro realizzata in Italia negli ultimi quattro anni, anni segnati dalla più grave crisi economica e occupazionale del secondo dopo guerra. Ispirata al modello tedesco, e fortemente voluta dalla Commmissione Europea e dalla BCE (ricordate la famosa lettera del 5 agosto del 2011?), è dichiarata come la vera priorità da attuare dal governo Renzi, costantemente elogiata dalla governance globale (FMI in testa) e dalla stampa tutta (o quasi) per i risultati ottenuti. I dati diffusi dal ministero del Lavoro il 25 maggio scorso, e riguardanti l’andamento degli avviamenti, delle cessazioni e delle trasformazioni dei contratti di lavoro nel mese di aprile 2015, non ratificano di certo la “primavera dell’occupazione”. Dovrebbero essere analizzati, piuttosto, come il segno di una vera e propria “bolla occupazionale”, che sta prendendo forma nel mercato del lavoro italico.
Roma 15 maggio – Comunicato stampa
Continua la mobilitazione della “Coalizione 27 febbraio” per l’equità previdenziale, la sostenibilità fiscale, il welfare universale
24 giugno Speakers’ Corner sotto il ministero del Lavoro e del Welfare
Dopo la riuscita mobilitazione dello scorso 24 aprile, l’incontro con Boeri che di essa è stato importante completamento, la “Carovana dei diritti” non si ferma. Lo ha deciso la partecipata assemblea della “Coalizione 27 febbraio” che si è svolta sabato 9 maggio presso l’atelier autogestito Esc.
La Germania è diventata uno “Streikland”, scriveva un paio di giorni fa la Süddeutsche Zeitung. Con lo sciopero dei macchinisti della Deutsche Bahn, che per settimane è riuscito a paralizzare il paese, quello dei lavoratori e degli educatori dei Kindergarten e quello di una parte del personale della Deutsche Post, il 2015 rischia di diventare l’“anno di fuoco”, l’anno col maggior numero di giorni di sciopero in Germania. Le statistiche, prontamente pubblicate sui maggiori quotidiani tedeschi, riportano però subito alla realtà, mostrando come, in confronto a paesi quali la Francia o la Danimarca o la Spagna, i numeri tedeschi tornino subito a ridimensionarsi, ripiombino entro il recinto della norma. Placate subito gli animi dunque, non sta accadendo nulla di eccezionale!
E se tante volte qualcuno nutrisse ancora qualche dubbio, puntuale come una mannaia, il Governo Federale Tedesco ha pensato immediatamente a scioglierlo. Dopo che la GDL, sindacato minore che ha condotto con determinazione radicale le settimane di sciopero dei macchinisti, aveva acconsentito a una tregua temporanea, nel momento in cui l’azienda aveva accettato, oltre l’aumento salariale del 5% e la diminuzione delle ore di lavoro, anche la possibilità che la GDL rappresentasse altre categorie lavorative (in aperta contrapposizione col maggiore sindacato del settore, la EVG), ecco giungere, con inquietante e scientifica puntualità, una proposta di legge di nuova regolamentazione del diritto di sciopero e della rappresentanza sindacale nei posti di lavoro. Non casualmente critici e oppositori l’hanno anche chiamata “Lex GDL”, in quanto risposta immediata e diretta, forse in primo luogo, contro il sindacato che più ha dato filo da torcere al governo nell’ultimo periodo. Proposta di legge che, neanche a dirlo, viene dalla SPD, in particolar modo dalla giovane socialdemocratica Andrea Nahles, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali nel governo di coalizione di Angela Merkel. “Il conformismo, che è sempre stato di casa nella socialdemocrazia, non riguarda solo la sua tattica politica, ma anche le sue idee economiche. Ed è una delle cause del suo sfacelo successivo”, scriveva Walter Benjamin nel 1939. Suonerà banale e ridondante, ma forse, di questi tempi, è bene tenerle sempre a mente queste parole.