Documentazione - FAQ

Per lavorare occorre sempre avere un contratto?

Il contratto di lavoro non chiede la forma scritta. Quindi ogni volta in cui inizia a lavorare in nero, nasce un contratto con tutti i diritti connessi (retribuzione adeguata, ferie, permessi, maternità, ecc…).

In alcuni casi (contratto di lavoro a termine, somministrazione di lavoro, apprendistato,  contratto a progetto) la forma scritta è obbligatoria, ed è una garanzia per il lavoratore. Se manca come detto iol rapporto è di tipo subordinato.  In ogni caso, il lavoratore all’atto di assunzione deve sempre ricevere la lettera di assunzione in cui sono indicate le parti, l’inquadramento del lavoratore, l’orario di lavoro, il compenso, la durata della prova se prevista, i termini di preavviso per il recesso, anche tramite il rinvio al CCNL applicabile al contratto individuale.

Cosa posso fare se sto lavorando in nero?

Devi rivolgerti alle CLAP per capire se sussistono i presupposti per fare vertenza per lavoro nero.  Potrai ottenere in questo modo un contratto regolare, e le differenze retributive e contributive che ti erano dovute. Importanti sono i testimoni.

-oltre al contratto o alla lettera

Come faccio a sapere quali sono le mie mansioni nel rapporto di lavoro?

Le tue mansioni devono essere presenti nel tuo contratto individuale, ovvero nel contratto collettivo nazionale a cui il tuo contratto individuale rimanda, a seconda della categoria e settore di inquadramento.

Cosa posso fare se sto svolgo mansioni diverse da quelle per cui sono stato assunto?

Il lavoratore ha diritto a svolgere le mansioni per le quali è stato assunto o quelle superiori che di fatto svolge da tre mesi (art. 2103 c.c.). Dunque chi fa mansioni inferiori può agire in giudizio per le differenze retributive. E se è demansionato può chiedere il risarcimento del danno.

Se ho un contratto precario (a termine, in somministrazione a termine, a progetto) posso pretendere che mi vengano riconosciute ferie, malattia, maternità?

Dipende  se il contratto è di tipo subordinato. Se hai un contratto a termine o un contratto in somministrazione a termine, devono esserti riconosciute ferie, malattia, maternità. Se hai un contratto a progetto, la legge obbliga a riconoscere la sospensione del rapporto di lavoro con indennità di maternità, e a determinate condizioni la malattia (vedi sezione leggi), ma non le ferie. Ciò perché, trattandosi di un contratto di lavoro autonomo, in realtà non saresti vincolato a un orario o un luogo di lavoro ma solo a svolgere e realizzare, coordinandoti con il datore di lavoro, il progetto; di conseguenza, in teoria saresti libero di decidere autonomamente, comunicandolo al datore di lavoro, le ferie.

Se ho un contratto a progetto e sono vincolato ad un orario di lavoro, o non mi vengono pagate ferie e malattia, cosa posso fare?

Occorre verificare due cose:

1) La modalità di svolgimento: se hai un orario fisso, un posto di lavoro fisso, lavori con messi del datore e ricevi direttive, di fatto sei un lavoratore subordinato, e hai tutti i diritti conseguenti
2) Il progetto: se il progetto, manca è generico, non lo svolgevi ecc..la legge prevede come sanzione il  riconoscimento di un rapporto subordinato

Puoi rivolgerti alle CLAP per fare vertenza al fine di richiedere l’accertamento della natura subordinata del tuo rapporto di lavoro e far convertire il tuo contratto in un contratto a tempo indeterminato, che prevede ferie, malattia e maternità. Puoi ottenere inoltre le differenze retributive e contributive.

PER QUALI TIPLOGIE DI LAVORO NON E’ AMMESSO L’USO DI CONTRATTI A PROGETTO?

La disciplina del lavoro a progetto non si applica ad alcune categorie  indicate dall'art. 61 D.Lgs. 276/2003.
Più precisamente, si tratta dei casi seguenti:

  • agenti e rappresentanti di commercio, che continuano ad essere regolati dalle discipline speciali;
  • professioni intellettuali, per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali (il caso tipico è quello del lavoro giornalistico).
  • collaborazioni rese nei confronti delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI;
  • componenti di organo di amministrazione e controllo di società;
  • partecipanti di collegi e commissioni (inclusi gli organismi di natura tecnica);
  • titolari di pensione di vecchiaia.

Quali sono le principali differenze tra una collaborazione a progetto e una collaborazione occasionale ?

Per lavoro occasionale si intende un rapporto di lavoro di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, non sia superiore ad € 5.000,00 (D.Lgs. 276/2003, art. 61).
Per casi come questi, lo stesso art. 61 dispone espressamente la non applicabilità delle norme in tema di lavoro a progetto.
Conseguentemente, i caratteri differenziali del lavoro autonomo occasionale rispetto alla collaborazione a progetto vanno individuati tendenzialmente in :

  • ·      assenza del coordinamento con l'attività da parte del committente,
  • ·      mancanza dell'inserimento nell'organizzazione aziendale,
  • ·      carattere episodico dell'attività,
  • ·      completa autonomia del lavoratore circa il tempo ed il modo della prestazione

In quali casi posso rivendicare la trasformazione  del contratto di  collaborazione a progetto in lavoro subordinato ?

Oltre al caso di assenza o generica descrizione del progetto allegato al contratto, ogni volta che le concrete modalità di svolgimento di un rapporto formalmente a progetto sono riconducibili al lavoro subordinato (ovvero rispettare un orario di lavoro e/o essere sottoposti a direttive anche di massima e/o non avere la proprietà dei mezzi di lavoro),  il lavoratore/trice  potrà agire giudizialmente per ottenere un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché le differenze retributive maturate.

E’ molto importante quindi  che  tu possa valutare le condizioni che riguardano la tua precisa posizione con un  legale di tua fiducia esperto in diritto del lavoro, che ti supporti  anche nell’eventuale azione legale da intraprendere.

Per questo ti invitiamo a contattare gli sportelli CLAP di Roma, che  offriranno questo supporto gratuitamente per tutti gli iscritti a CLAP ( potrai iscriverti anche  dopo aver avuto i primi colloqui, se intendi  procedere con la causa legale )

Mi vengono richieste attività e mansioni estranee al progetto che ho firmato, che devo fare?

L'art. 61 comma 1° del D.Lgs. 276/2003 stabilisce che i rapporti a progetto  senza l'individuazione di uno specifico “progetto” (programma di lavoro o di una fase di esso) sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
Ciò evidentemente comporta non solo che nel contratto a progetto debba essere specificamente indicato il progetto, ma anche che, nel corso del rapporto, il lavoratore sia effettivamente utilizzato per la realizzazione di quel progetto.
Pertanto, lo svolgimento di mansioni estranee al progetto è di per sé sufficiente a determinare la trasformazione del rapporto a progetto in ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Anche in questo caso ti consigliamo di rivolgerti subito agli sportelli CLAP  per  farti supportare da un Legale esperto in diritto del lavoro

Con  un contratto a progetto ho diritto agli assegni familiari?

A decorrere dal 1° gennaio 1998, agli iscritti alla gestione separata dei lavoratori autonomi (lavoratori con collaborazione a progetto o coordinata e continuativa, professionisti senza cassa, venditori a domicilio, associati in partecipazione), è estesa la disciplina dell'assegno per il nucleo familiare.
L'assegno spetta solo se la somma dei redditi derivanti dalle attività sopra indicate è pari o superiore al 70% del reddito complessivo del nucleo familiare, percepito nell'anno solare precedente il 1° luglio di ciascun anno.


Nel caso di nuclei a composizione reddituale mista si considera realizzato il requisito del 70%, qualora lo stesso venga raggiunto sommando le due tipologie di reddito (lavoro dipendente/lavoro parasubordinato)
La domanda da parte dei lavoratori parasubordinati deve essere presentata a decorrere dal 1° febbraio dell'anno successivo a quello per il quale viene richiesta la prestazione e l'erogazione dell’assegno è corrisposta direttamente da parte delle strutture periferiche INPS.

1. Indennità di malattia

In caso di malattia, i lavoratori parasubordinati, iscritti alla Gestione Separata Inps, (collaboratori a progetto, collaboratori coordinati e continuativi e lavoratori occasionali) hanno diritto all’indennità di malattia a carico del’Inps, con malattia di durata non inferiore a 4 giorni entro il limite massimo di giorni pari a un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro (massimo 61 giorni l'anno solare)e comunque non inferiore a 20 giorni nell'arco dell'anno solare..

Requisiti:

  • almeno tre mesi di contribuzione, anche non continuativi, nei dodici mesi precedenti l’evento;
  •  reddito individuale, nell’anno solare che precede quello in cui è iniziato l’evento, non superiore al 70 per cento del massimale contributivo

Il certificato di malattia del medico curante va inviato entro 2 giorni all’INPS e al committente; inoltre, il collaboratore deve presentare domanda di pagamento all’INPS, corredato da copia del/i contratto/i di lavoro.

Per i lavoratori con contratto partita Iva, l'indennità di malattia è erogata solo in caso di ricovero ospedaliero

L'indennità di malattia  giornaliera :

  • euro 10,85 (4%), se nei 12 mesi precedenti l’evento risultano accreditate da 3 a 4 mensilità di contribuzione
  • euro 16,28 (6%), se nei 12 mesi precedenti l’evento risultano accreditate da 5 a 8

mensilità di contribuzione;

  • euro 21,71 (8%), se nei 12 mesi precedenti l’evento risultano accreditate da 9 a 12

mensilità di contribuzione.

Indennità di degenza ospedaliera  :

Per le degenze iniziate nell’anno 2013, l’indennità, per ogni giornata indennizzabile,è pari a:

  • euro 21,71 (8%), in caso di accrediti contributivi da3 a 4 mesi;
  • euro 32,56 (12%), in caso di accrediti contributivi da5 a 8 mesi;
  • euro 43,41 (16%), in caso di accrediti contributivi da 9 a 12 mesi

( per maggiori notizie  cfr.  Cirolare INPS n.47 del  26/03/2013)

 

INFORTUNI PER I PARASUBORDINATI
Devono essere assicurati all'Inail i titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e collaborazioni a progetto e gli associati in partecipazione, qualora svolgano attività rischiose previste dall'assicurazione obbligatoria Inail.
L'onere del contributo Inail è nella misura di 2/3 a carico del committente e 1/3 a carico del lavoratore.
Il contributo è calcolato in base al tasso applicabile all'attività svolta sull'ammontare dei compensi effettivamente percepiti.
I lavoratori parasubordinati hanno diritto in caso di infortunio o malattia professionale ad un'indennità di inabilità temporanea pari al 60% per i primi 90 giorni di inabilità e 75% per i successivi.
In caso di postumi dell'infortunio si ha diritto ad un indennizzo in capitale (con grado di inabilità dal 6% al 15%) o ad una rendita mensile (con grado di inabilità dal 16% al 100%).

2.      Indennità di maternità/ paternità

Il congedo di maternità è il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e puerperio. Durante il periodo di assenza obbligatorio ( 5 mesi ) le lavoratrici e i lavoratori iscritti esclusivamente alla gestione separata Inps e non pensionati, che hanno versato alla gestione separata il contributo con l’aliquota maggiorata  per maternità/paternità dal lavoro , hanno diritto all’indennità economica a condizione che nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità (o paternità) risultino effettivamente accreditati alla gestione separata almeno 3 contributi mensili comprensivi della predetta aliquota maggiorata.

Il diritto al congedo ed alla relativa indennità spettano anche in caso di adozione o affidamento di minori.

In presenza di determinate condizioni che impediscono alla madre di beneficiare del congedo di maternità ( o di affidamento esclusivo al padre), il diritto all’astensione dal lavoro ed alla relativa indennità spettano al padre (congedo di paternità).

Questo trattamento economico sostitutivo della retribuzione spetta alle lavoratrici madri (naturali, adottive o affidatarie) per una durata massima di 5 mesi.

 Spetta anche ai padri, ma solo se la madre non ne fa richiesta.

 Le lavoratrici parasubordinate, iscritte alla gestione separata Inps, devono dimostrare di aver versato almeno tre mensilità di contribuzione nei dodici mesi precedenti il periodo di maternità.

L’importo del beneficio è pari all'80 per cento del reddito medio giornaliero, derivante da collaborazione coordinata e continuativa o derivante da lavoro libero professionale, prodotto nei dodici mesi precedenti l’astensione per maternità.

La sospensione del rapporto, a causa della maternità, da diritto alla proroga del contratto per un periodo di 180 giorni.

L’indennità spetta anche alle lavoratrici autonome (coltivatrici dirette, colone, mezzadre, artigiane e commercianti) iscritte nei rispettivi elenchi prima del periodo indennizzabile e  in regola con il versamento dei contributi.

L'indennità non spetta ai padri lavoratori autonomi

Per le lavoratrici autonome l'indennità non comporta comunque obbligo di astensione dall'attività lavorativa

Le libere professioniste che richiedono la maternità possono assumere come reddito di riferimento per calcolare l'indennità solo quello professionale, con esclusione di quanto eventualmente percepito per altre attività svolte. Il reddito da considerare non è  quello prodotto al momento della presentazione della domanda, bensì quello percepito nel secondo anno precedente l’evento. Viene inoltre introdotto un limite massimo dell'indennità, pari a 5 volte l'importo minimo già prescritto dalla legge, ferma restando la potestà delle singole Casse di stabilire importi più elevati.

In caso di adozione internazionale,  anche le libere  professioniste hanno diritto a percepire l’indennità di maternità anche se il minore ha superato i sei anni di età.

Chi paga l’indennità  di maternità/paternità per le lavoratrici  parasubordinate e autonome?

L'indennità e' pagata direttamente dall'Inps secondo la modalità scelte nella domanda:

  • bonifico presso l'ufficio postale
  • accredito su conto corrente bancario o postale.

Quando  e come si  deve presentare LA DOMANDA?

La domanda di maternità (o paternità) deve essere presentata all’Inps telematicamente mediante una delle seguenti modalità:

  • WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN dispositivo attraverso il portale dell’Istituto (www.inps.it Servizi on line);
  • Contact Center integrato – n. 803164 gratuito da rete fissa o n. 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa delproprio gestore telefonico;
  • Patronati, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

La domanda telematica va inoltrata prima dell’inizio del congedo di maternità ed, in ogni caso, non oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile, pena la prescrizione del diritto all’indennità.

La lavoratrice è tenuta a comunicare la data di nascita del figlio e le relative generalità entro 30 giorni da parto mediante una delle modalità telematiche sopra indicate.

Le lavoratrici autonome trasmettono la domanda telematica a parto avvenuto.

La domanda telematica prevede la possibilità di allegare documentazione utile per la definizione della domanda (  necessari per provvedimenti di interdizione anticipata nel caso di gravidanza a rischio, o posticipata nel caso contrario in cui la lavoratrice intenda lavorare fino all’ottavo mese per poi godere di quattro mesi post partum, provvedimenti di adozione o affidamento, autorizzazione all’ingresso in Italia del minore straniero in adozione o affidamento preadottivo rilasciato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, attestazione di ingresso in famiglia del minore adottato/affidato e così via).

Il certificato medico di gravidanza ed ogni altra certificazione medico sanitaria richiesta per l’erogazione delle prestazioni economiche di maternità/paternità dev’essere presentata in originale alla Struttura Inps competente, allo sportello oppure a mezzo raccomandata postale in busta chiusa.

Sulla busta contenente la certificazione medico sanitaria è utile apporre:

il numero di protocollo rilasciato dalla procedura di invio online la dicitura “documentazione domanda di maternità/paternità – certificazione medico sanitaria” (ai fini della legge sulla privacy

cfr modulo domanda Inps

Che cosa significa che il periodo di astensione obbligatorio è diventato “flessibile”?

Anche le lavoratrici parasubordinate e autonome  possono optare  di  fruire dell’astensione obbligatoria, ferma restando la durata complessiva fissata in 5 mesi, assentandosi  dal lavoro fino a 1 mese prima del parto e fino a 4 mesi successivi a tale data (1 + 4, anziché 2 + 3).

L’attuale normativa  prevede infatti  che “Ferma restando la durata complessiva del congedo d i maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e  nei quattro mesi successivi al parto a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”

Nel caso in cui la lavoratrice volesse usufruire della flessibilità, deve presentare domanda all’INPS, secondo le modalità di cui sopra,, corredata della relativa certificazione medica, rilasciata dal ginecologo. Tale richiesta sarà inoltrata al medico competente, che attesterà se la permanenza della lavoratrice in servizio non comporta alcun pregiudizio per la sua salute e per  quella del nascituro.

Come vengono   calcolati il  periodo di congedo e l’indennità di maternità in caso di nascita anticipata rispetto alla data presunta del parto ?

In caso di parto anticipato rispetto alla data presunta (parto prematuro o precoce), ai tre ( o quattro ) mesi dopo il parto si aggiungono i giorni compresi tra la data effettiva e la data presunta, ai fini del calcolo  sia del periodo di congedo obbligatorio spettante, sia  della relativa indennità economica.

In caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura ospedaliera, la lavoratrice può differire, in tutto o in parte, la fruizione del congedo di maternità post partum al momento dell’ingresso effettivo del neonato nella casa familiare, sempreché le condizioni di salute della lavoratrice stessa ne consentano il rientro a lavoro (sentenza Corte Costituzionale n. 116/2011).

Qual’ è il trattamento in caso di interruzione di gravidanza ?

L'interruzione di gravidanza che si verifica dopo i 180 giorni dall'inizio della gestazione (180simo giorno incluso) è considerata a tutti gli effetti come “parto”. Pertanto, in tale caso, la lavoratrice  ha diritto all’ astensione obbligatoria ( e alla relativa indennità )  per l'intero periodo di congedo di maternità salvo che la stessa non scelga di riprendere l’attività lavorativa (art. 16, comma 1 bis, del T.U. modificato dal D.Lgs. 119/2011).

Nel caso in cui l’interruzione avvenga prima dei 180 giorni, invece  sarà considerata malattia a tutti gli effetti sia per il periodo di congedo che per  l’indennità relativa, in questo caso la lavoratrice a partita Iva avrà diritto ad un’indennità solo per l’eventuale periodo di ricovero ospedaliero.

Qual è il trattamento in caso di parto gemellare ?

In caso di nascita di due o più gemelli il periodo di astensione obbligatoria  e relativa indennità rimangono invariati, mentre gli eventuali congedi parentali ( vedi paragrafo successivo ) saranno rapportati al numero dei figli .

A che cosa si  ha diritto in caso di adozione o affidamento preadottivo ?

In caso di adozione o affidamento nazionale di minore di cui alla legge 184/1983 il congedo di maternità spetta per i 5 mesi successivi all’effettivo ingresso in famiglia del minore adottato o affidato preadottivamente nonché per il giorno  dell’ingresso stesso (adozioni o affidamenti).

Per le adozioni o gli affidamenti preadottivi internazionali di cui alla legge 184/1983 il congedo spetta per i 5 mesi successivi all’ingresso in Italia del minore adottato o affidato nonché per il giorno dell’ingresso in Italia.

Fermo restando il periodo complessivo di 5 mesi, il periodo di congedo può essere fruito, anche parzialmente, prima dell'ingresso in Italia del minore. Il periodo di congedo non fruito antecedentemente all'ingresso in Italia del minore in Italia, è fruito, anche frazionatamente, entro i 5 mesi dal giorno successivo all'ingresso medesimo.

I periodi di permanenza all'estero, non seguiti da un provvedimento di adozione o affidamento validi in Italia, non possono essere indennizzati a titolo di congedo di maternità, ma devono essere giustificati ad altro titolo.

In caso di affidamento non preadottivo  di cui alla legge 184/1983 il congedo spetta per un periodo di 3 mesi da fruire, anche in modo frazionato, entro l’arco temporale di 5 mesi dalla data di affidamento del minore

 

Che cosa si intende per congedo di paternità e chi ne ha diritto ?

Il congedo di paternità  è riconosciuto anche ai  lavoratori iscritti  alla gestione separata INPS per cui  ricorrano i requisiti dell’effettivo versamento di almeno 3 mensilità nei 12 mesi precedenti il periodo di astensione,   dal momento in cui si verificano determinati eventi riguardanti la madre del bambino, a prescindere dal fatto che la stessa sia lavoratrice o non lavoratrice.

Il congedo di paternità spetta in caso di:

  • morte o grave infermità della madre. La morte della madre dev’essere attestata mediante compilazione dell’apposita dichiarazione di responsabilità predisposta nella domanda telematica; la certificazione sanitaria comprovante la grave infermità va presentata in busta chiusa al centro medico legale dell’Inps, allo sportello oppure a mezzo raccomandata postale
  • abbandono del figlio da parte della madre. L’abbandono (o mancato riconoscimento del neonato) da parte della madre dev’essere attestato mediante compilazione dell’apposita dichiarazione di responsabilità predisposta nella domanda telematica
  • affidamento esclusivo del figlio al padre (art. 155 bis cod. civ.). L’affidamento esclusivo dev’essere comprovato allegando alla domanda telematica il provvedimento giudiziario con il quale l’affidamento esclusivo è stato disposto oppure la dichiarazione di responsabilità contenente gli estremi del provvedimento giudiziario ed il tribunale che lo ha emesso
  • rinuncia totale o parziale della madre lavoratrice al congedo di maternità alla stessa spettante in caso di adozione o affidamento di minori. La rinuncia  è attestata dal richiedente mediante compilazione dell’apposita dichiarazione di responsabilità predisposta nella domanda telematica

Il congedo di paternità, che decorre dalla data in cui si verifica uno degli eventi suindicati (morte, grave infermità e così via), coincide temporalmente con il periodo di congedo di maternità non fruito dalla lavoratrice madre.

 In caso di madre non lavoratrice, il congedo di paternità termina al terzo mese dopo il parto.

 In caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura ospedaliera, il congedo di paternità può essere differito, in tutto o in parte, alla data di ingresso del bambino nella casa familiare.

La legge 28 giugno 2012, n.92 ha introdotto in via sperimentale, per il triennio 2013-2015, una nuova misura  a sostegno dei padri lavoratori :

  • Il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno. Tale diritto si configura come un diritto autonomo rispetto a quello della madre e può essere fruito dal padre lavoratore anche durante il periodo di astensione obbligatoria post partum della madre. Per la fruizione dello stesso, al padre è riconosciuta un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione.
  • Il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima. Al padre è riconosciuta un'indennità pari al 100 per cento della retribuzione in relazione al periodo di astensione.

Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare l’apposita pagina “Congedi papà”  dedicata a quanto disposto dal Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del 22 dicembre 2012  e dalla successiva Circolare INPS n.40 del 14 marzo 2013.

3. Congedo parentale

Terminato il periodo di astensione obbligatoria, alcune categorie di lavoratrici e lavoratori iscritti alla Gestione Separata Inps (collaboratori a progetto, titolari di assegni di ricerca e collaboratori coordinati e continuativi presso la Pa), hanno diritto all’astensione facoltativa, utilizzando un congedo parentale di 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino. L'indennità, pari al 30 per cento della retribuzione media giornaliera, è corrisposta direttamente dall’Inps.

Tale congedo può essere usufruito, dopo il periodo di astensione obbligatoria della madre, da entrambi i genitori.

  La fruizione di questo congedo tuttavia non fa scattare il diritto di proroga del contratto di lavoro  per un periodo corrispondente al congedo fruito, oltre i 180 giorni spettanti per la  proroga prevista per congedo di maternità.

Il diritto è esigibile solo se se non si è titolari di pensione, non si è iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie e se sono state attribuite almeno 3 mensilità di contribuzione nei 12 mesi precedenti il periodo indennizzabile.
La domanda di congedo parentale deve essere presentata in data anteriore all’inizio del congedo stesso, essendo indennizzabili, in caso contrario, soltanto i periodi successivi alla domanda.
I periodi di congedo parentale sono indennizzabili subordinatamente alla sussistenza di un rapporto di lavoro ancora in corso di validità nel periodo in cui si colloca il congedo parentale ed all’effettiva astensione dall’attività lavorativa.

Nel caso di parti gemellari il congedo  parentale è rapportato al numero dei bambini effettivamente in vita ( tre mesi per ogni bambino)

4. Indennità di disoccupazione “ una tantum”

La cosiddetta “indennità una tantum co.co.pro.” è un beneficio erogato una tantum, cioè una sola volta, esteso ai collaboratori a progetto, entrata a regime con la cd Riforma  Fornero (Legge n.  92 del 2012, art, 2 commi 51/56).

requisiti che il collaboratore deve possedere per la richiesta dell'indennità sono:

  • iscrizione in via esclusiva alla Gestione Separata Inps;
  • aver operato in regime di monocommittenza;
  •  conseguimento, nell'anno precedente, di un reddito soggetto ad imposizione fiscale non superiore a 20 mila euro;
  •  aver accreditato presso l'Inps almeno una mensilità nell'anno di riferimento;
  •  aver avuto un periodo di disoccupazione ininterrotto di almeno 2 mesi nell'anno precedente;
  •  accredito, nell'anno precedente, di almeno 3 mensilità nella Gestione Separata.

L'indennità è pari al 7 per cento del minimale annuo per i contributi previdenziali moltiplicato il minor numero tra le mensilità accreditate nell'anno precedente (almeno 4) e quelle non coperte da contribuzione. La somma è corrisposta in unica soluzione se l'indennità è inferiore ai mille euro, mentre se superiore verrà corrisposta in quote mensili (fino a mille euro).

Consigliamo ai pochi  collaboratori a progetto oggi disoccupati che avessero i requisiti di venire alle sedi de gli sportelli di CLAP per presentare le domande.
Inoltre per i collaboratori che, oltre ai contratti di collaborazione, hanno avuto rapporti di lavoro dipendente (anche saltuari) per almeno 78 giornate nel corso dell’anno solare è possibile fare domanda di disoccupazione a requisiti ridotti per la copertura dei periodi di disoccupazione non coincidenti né con i rapporti di lavoro dipendente, né con i periodi di collaborazione.

La normativa italiana prevede che il lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro. Può essere apposto un termine al contratto solo per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Il contratto a tempo determinato è disciplinato dal Decreto Legislativo n. 368/2001, che ha modificato ampiamente la disciplina precedente.
La disciplina del contratto a termine  ha subito ulteriori modificazioni, le ultime delle quali introdotte con la legge n. 183/2010, con la legge di riforma del mercato del lavoro , l.n. 92/2012 e, da ultimo, col Decreto Legge n. 76/2013.

Perché l’assunzione a termine sia legittima, sono necessari alcuni requisiti fondamentali?

Per apporre un termine al contratto è fondamentale specificare la motivazione (causale) nella lettera di assunzione. Se tale causale non è specificata chiaramente, il termine apposto al contratto è inefficace e si può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno ed il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

L’ esigenza oggettiva che legittima il ricorso ad un contratto a termine anziché a tempo indeterminato deve essere poi, come dice il nome stesso, temporanea; deve avere, cioè, carattere un carattere transitorio, che deve risultare verificabile.

 

Cosa comporta la mancanza di una ragione specifica che legittimi l’apposizione del termine al contratto (che di norma deve essere a tempo indeterminato)?

Si può agire in giudizio per ottenere la conversione del rapporto a tempo indeterminato ed ottenere un risarcimento del danno

Quali sono i termini per l’impugnazione di un termine illegittimo?

La Legge 183/2010 ha stabilito che l’ illegittima apposizione del termine deve essere impugnata, a pena di decadenza, dal lavoratore entro 120 giorni dalla scadenza del termine. 
Occorre prestare attenzione al comportamento del datore di lavoro in quanto per evitare la causa avrà tutto l’interesse a promettere una futura assunzione (a tempo indeterminato o nuovamente a termine) per far scadere il termine ultimo dei 120 giorni ed essere immune da qualsivoglia vertenza.

Possono essere stipulati due contratti a termine con lo stesso datore di lavoro?

Se si succedono due contratti a termine con lo stesso datore di lavoro senza soluzione di continuità, il contratto è considerato a tempo indeterminato dall’origine.

Per poter stipulare più contratti a tempo determinato successivi con lo stesso datore di lavoro, vi deve essere un intervallo di 10 giorni per i contratti fino a 6 mesi, di 20 giorni per i contratti maggiori di 6 mesi.

Per quanto tempo posso lavorare a termine presso lo stesso datore di lavoro?

La durata massima del contratto a termine, sia per quanto attiene la durata di un singolo contratto che in caso di successione di più contratti (senza contare i periodi di intervallo) è di 36 mesi.

Il mio contratto a termine può essere prorogato?

Se il contratto a termine ha una durata inferiore a tre anni può essere prorogato una sola volta se la proroga sia riferibile a ragioni oggettive nonché alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a termine è stato stipulato.  La durata complessiva del rapporto non può essere comunque superiore ai 36 mesi.

A cosa ho diritto se ho un contratto a termine?

Il contratto a termine prevede gli stessi diritti del contratto a tempo indeterminato (retribuzione, ferie, malattia, maternità, TFR, tredicesima e diritti sindacali)

Posso essere licenziato prima della scadenza del termine?

Il rapporto di lavoro a termine non prevede possibilità di interruzione del contratto prima della scadenza non in presenza di particolari condizioni. Il datore di lavoro che non può licenziare il lavoratore se non in presenza di giusta causa (quindi per rilievi disciplinari).

La legge che regola l’istituto è il Dlgs 276/03. Le ragioni per cui può essere assunto un lavoratore somministrato sono espressamente definite dalla legge. Il contratto di somministrazione deve essere stipulato in forma scritta, in mancanza della quale il lavoratore può richiedere la conversione del suo contratto in un contratto a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore.

Se lavoro con un contratto in somministrazione, quale deve essere il mio trattamento retributivo e normativo?

Il tuo trattamento retributivo e normativo non può essere complessivamente inferiore a quello dei dipendenti dell’utilizzatore.

Se lavoro con un contratto in somministrazione, quali devono essere le mie mansioni?

Devi essere adibito alle mansioni presenti nel tuo contratto o nel CCNL al quale il tuo contratto rinvia. Qualora tu fossi adibito a mansioni differenti da quelle per cui sei stato assunto, puoi agire giudizialmente per ottenere il consolidamento del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore (e non all’agenzia).

Se lavoro con un contratto in somministrazione, quali sono i miei diritti sindacali?

Ai dipendenti delle società di somministrazione si applicano tutti i diritti sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori (art 24 d. lgs n. 276/2003).

Se lavoro con un contratto di somministrazione a tempo determinato, quali sono i miei diritti?

Il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore è soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. 368/2001 su rapporto di lavoro a tempo determinato. Ti consigliamo quindi di consultare la scheda relativa a questa tipologia di contratto. In ogni caso, qualora la causale di assunzione  apposta al contratto sia assente o generica o inveritiera (perché in realtà sei stato adibito a mansioni difformi) puoi agire giudizialmente per ottenere il posto di lavoro in capo all’utilizzatore a tempo indeterminato

Per i trattamenti retributivi e previdenziali non corrisposti, su chi posso rifarmi?

è prevista la responsabilità solidale tra l’utilizzatore e il somministratore per la corresponsione di questi trattamenti.

Le cooperative di produzione e lavoro sono costituite allo scopo di svolgere un'attività economica organizzata in impresa utilizzando il lavoro dei soci. Si distinguono dalle altre imprese sociali per il c.d. scopo mutualistico (art 2511 C.C.), “consistente nel fornire beni e servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri della organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato” (Relazione del Ministero di Grazia e Giustizia al codice civile del 1942 n. 1025). Ai soci spetta il diritto alla partecipazione agli utili dell'impresa.
Il socio lavoratore di cooperativa è titolare di due rapporti: un rapporto di tipo associativo, per cui il socio partecipa alla formazione degli organi sociali, all’elaborazione di programmi di sviluppo, contribuisce alla formazione del capitale sociale, partecipa al rischio d’impresa, ai risultati economici ed alle decisioni sulla loro destinazione, mette a disposizione le proprie capacità professionali; un rapporto di lavoro, che può essere stipulato in forma subordinata o autonoma o parasubordinata.

La disciplina del rapporto di lavoro è contenuta nella Legge n. 142/2001 e modificata dalle Legge n. 30/2003. Al socio si applicano inoltre gli istituti tipici del rapporto di lavoro disciplinati dalla l. n. 300/1970, con esclusione dell’art. 18 “ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo”. Mentre la cessazione del rapporto associativo coinvolge quello di lavoro, la cessazione di quest’ultimo non coinvolge il rapporto associativo, con piena applicazione dell’art. 18 dello statuto del lavoratori ed obbligo, quindi, da parte dell’impresa cooperativa di riammettere in servizio il socio lavoratore ingiustamente allontanato.

Se lavoro come socio lavoratore di cooperativa, quale trattamento economico devo ricevere?

Le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine.

Se lavoro come socio lavoratore di cooperativa con contratto di lavoro autonomo (o con un contratto precario) e lavoro con le medesime modalità dei colleghi inquadrati con contratti di lavoro subordinato cosa posso fare?

Puoi agire giudizialmente per vedere riconosciuta la natura subordinata del rapporto di lavoro, consolidarlo a tempo indeterminato e percepire le differenze retributive per il periodo di lavoro prestato.

Se lavoro come socio lavoratore di cooperativa con contratto di lavoro di tipo subordinato in caso di licenziamento  posso ricevere il sussidio di disoccupazione?

Sì. La l.n. 92/2012 ha esteso le indennità di disoccupazione (ASpI e mini-Aspi) ai soci lavoratori di cooperativa. V. l. n. 92/2012, art.2, comma 1.

Cosa si intende per lavoro a partita IVA?

In linea generale, con il termine “lavoratori a partita IVA” si indica la categoria di soggetti che effettua, nei confronti di un altro soggetto, prestazioni di lavoro autonomo.

Per trovare una fonte normativa, si può far riferimento alla nozione di contratto d’opera fornita dagli art.dal 2222 al 2228  del Codice civile e quindi considerare lavoratore autonomo chi compie un’opera o un servizio richiesto da un committente con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione. In caso di prestazioni d’opera intellettuale si fa riferimento anche agli articoli 2229-2238 sempre del Codice civile.

Nella maggior parte dei casi le prestazioni di lavoro remunerate con partita IVA implicano lo svolgimento della propria prestazione lavorativa con modalità proprie del lavoro subordinato. Quindi, se il rapporto di lavoro è remunerato a partita Iva ma si osserva un orario di lavoro e/o non si possiede la proprietà dei mezzi con cui si lavora e/o si è sottoposti al potere disciplinare  e/o si osservano delle direttive (anche di massima) sul lavoro da svolgere, ebbene è possibile agire giudizialmente per ottenere un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con tutte le differenze retributive tra quanto percepito e quanto previsto per la subordinazione.

Che cosa  prevede la legge per contrastare l’abuso delle false partite Iva?

Sempre più spesso però il lavoratore è costretto dal committente/datore di lavoro ad “aprirsi  una partita IVA” per puro risparmio del costo del lavoro e per  eludere  gli obblighi  e  tutele previdenziali e assicurative  ( versamenti INPS, iscrizione all’INAIL), in tutti questi casi siamo  di fronte alle cosiddette  “false partite IVA”.

La legge 92/2012 ( cosiddetta Riforma Fornero)  , per contrastare quest’abuso , ha introdotto un cosiddetto “principio di presunzione”.   

Nel merito La legge Fornero  prevede che la presunzione  di una falsa partita IVA si determini  qualora l’attività del collaboratore con partita Iva sia contraddistinta da almenodue dei seguenti presupposti:

  • durata complessiva del rapporto superiore a otto mesi all’anno, per due anni consecutivi, con lo stesso committente;
  • oltre l’80% del fatturato del collaboratore, da valutarsi nell’arco di due anni solari consecutivi, derivante dalla stessa impresa;
  • presenza di una postazione di lavoro fissa presso una delle sedi del committente.

Di conseguenza  in presenza di uno o più degli elementi predetti è possibile ottenere un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e le differenze retributive.

Quali sono gli aspetti fiscali  che devo  affrontare nella conduzione di una partita IVA ?

Dal momento in cui si apre la partita iva, per ogni prestazione effettuata si deve emettere fattura che, oltre al compenso pattuito deve contenere la rivalsa Iva (22 per cento) e la ritenuta d’acconto Irpef (20 per cento).

I redditi dei lavoratori con partita Iva sono classificati fiscalmente come redditi di lavoro autonomo.

Le spese sono interamente deducibili dal reddito solo se inerenti all’attività. Le spese relative all’acquisto di beni adibiti promiscuamente all’esercizio della professione e all’uso personale sono deducibili nella misura del 50 per cento.

Il reddito imponibile è tassato in sede di dichiarazione dei redditi (obbligatoria per i titolari di partita iva anche in caso di reddito zero) secondo il principio di acconto e saldo, applicando le aliquote progressive vigenti per scaglioni di reddito (Irpef, addizionali regionali e comunali).

Con la stessa dichiarazione dei redditi si dovrà versare l’Irap nella misura del 4,25 per cento per i redditi oltre 8.000 euro.

Il titolare di partita Iva è obbligato alla registrazione delle fatture su appositi registri(registro delle fatture emesse e registro degli acquisti) alla liquidazione trimestrale e/o mensile dell’Iva, nonché alla relativa liquidazione annuale.

Chi ha diritto al cosiddetto “regime dei minimi” (nuove regole dal 1° gennaio 2012)?

Il regime dei minimi prevede l’esclusione di Iva, Irap, Studi di settore e relative dichiarazioni, tenuta delle scritture contabili. Rimane l’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi Irpef (Mod. Unico).

I ricavi e i compensi relativi al regime dei minimi non devono essere assoggettati a ritenuta d’acconto e le fatture emesse dovranno recare la seguente dicitura:

“Prestazione svolta in regime fiscale di vantaggio ex art. 1 commi 96-117 legge 244/2007 come modificato da art. 27 del D.L. 98/2011 e pertanto non soggetta a IVA né a Ritenuta d’acconto ai sensi provvedimento direttore agenzia Entrate n. 185820”.

Dal 1° gennaio 2012 tale regime si applica per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro successivi, ma non oltre il periodo d’imposta di compimento del35° anno di età alle persone che:

  • intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione;
  • che l’hanno intrapresa dal 1° gennaio 2008.

L’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali è del 5%, a condizione che sussistano i seguenti requisiti (art. 1 commi da 96 a 99 legge 244/2007 )

  1. ricavi o compensi non superiori a 30.000 euro nell’anno precedente;
  2. non siano state sostenute spese per lavoro dipendente o collaboratori;
  3. nel triennio precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali superiori a 15.000 euro.

 

Chi ha diritto al Regime contabile agevolato?

Accedono al regime contabile agevolato coloro che, per effetto delle nuove disposizioni di cui all’art. 27 comma 3 D.L. 98/2011, fuoriescono dal regime dei minimi e che comunque hanno le seguenti caratteristiche:

  • non hanno conseguito nell’anno precedente ricavi o compensi superiori a 30.000 euro;
  • non hanno effettuato cessioni all’esportazione;
  • non hanno sostenuto spese per collaboratori o lavoratori dipendenti;
  • non hanno effettuato, nei tre anni precedenti, acquisti di beni strumentali superiori a 15.000 euro;
  • sono soggetti residenti;
  • non effettuano in via esclusiva cessioni di fabbricati;
  • non partecipano a società di persone o associazioni o S.r.l.

Inoltre possono accedere al regime contabile agevolato i soggetti che, avendo le caratteristiche di cui ai commi 96 e 99 art. 1 della legge 244 del 24/12/2007, hanno optato per il regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali (art. 13 legge 23/12/2000 n. 388).

I soggetti che si avvalgono del regime contabile agevolato sono esonerati dai seguenti obblighi:

  • registrazione delle scritture contabili ai fini Irpef, Iva e Irap;
  • tenuta registro beni ammortizzabili;
  • liquidazioni e versamenti periodici Iva;
  • presentazione dichiarazione versamento Irap.

Sono invece  obbligati ai seguenti adempimenti:

  • conservazione dei documenti ricevuti ed emessi;
  • fatturazione e certificazione dei corrispettivi;
  • dichiarazione annuale Iva e Irpef;
  • versamento annuale Iva;
  • versamento acconto e saldo Irpef.

Quali sono gli obblighi previdenziali per le Partite IVA?


Chi è in possesso di partiva Iva è obbligato ad iscriversi alla gestione separata Inps se esercita un’attività che non prevede l’iscrizione a un albo o a un ordine provvisto di cassa previdenziale specifica.

L’iscrizione è obbligatoria anche se si hanno contributi versati nel fondo dei lavoratori dipendenti: in tal caso c’è solo una riduzione dell’aliquota dovuta.

La contribuzione è a totale carico del lavoratore con partita Iva: egli ha la possibilità di addebitare nella fattura il 4 per cento del compenso lordo a titolo di rivalsa previdenziale.

LE ALIQUOTE CONTRIBUTIVE 2013 DEL FONDO GESTIONE SEPARATA

PRESTATORI DI LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE senza altra copertura previdenziale obbligatoria 27,72%
PRESTATORI DI LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE con altra copertura previdenziale obbligatoria titolari di pensione indiretta 20%

 

 

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L’apprendistato  è definito dalla legge come  un “contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani”.

Si tratta di una tipologia contrattuale cosiddetta a causa mista , in quanto oltre alla normale causa di scambio (Lavoro/retribuzione ) tipica del contratto di lavoro subordinato, si pone la finalità formativa.

La normativa in materia è oggi integralmente racchiusa nel D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167, cd. Testo unico sull’apprendistato

Il Testo Unico del 2011 in materia di contratto di apprendistato ha chiarito una volta per tutteche esso è un contratto a tempo indeterminato fin dall’origine, con le seguenti peculiarità. Nel periodo compreso tra l’instaurazione del rapporto e il termine dell’attività formativa  il dipendente può essere licenziato solo per giusta causa o giustificato motivo. Allo scadere del termine, il datore di lavoro ha la facoltà di risolvere il rapporto a norma dell’art. 2118 del codice civile e nel rispetto dei termini di preavviso indicati dal CCNL di riferimento.

Qualora il datore di lavoro non si avvalesse di tale facoltà, il rapporto continuerà conformemente alle normali regole che disciplinano i rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Si tratta quindi  a tutti gli effetti  di una tipologia di  lavoro subordinato, con tutto ciò che ne consegue in termini di applicazione della normativa a tutela del lavoratore dipendente tuttavia presenta  delle peculiarità derivanti dalla missione formativa,   che incidono direttamente  sui requisiti formali e sostanziali del contratto e  sul trattamento economico .

Inoltre ad oggi, (a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione)  la funzione formativa è demandata alle Regioni, che. per quanto riguarda l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e l’apprendistato di alta formazione, hanno il compito di prevederne integralmente la parte formativa, mentre, per quanto riguarda l’apprendistato professionalizzante, hanno il compito di definire  un’offerta formativa nei limiti di 120 ore nel triennio.
Attualmente  la legge prevede  tre diverse tipologie di apprendistato.

  1. La prima è costituita dall’ apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, che può essere utilizzato in tutti i settori di attività anche per l’assolvimento dell’obbligo scolastico ed è rivolto ai giovani di età compresa tra 15 e 25 anni. La durata del contratto, varia  a  seconda della qualifica o del diploma da conseguire, tuttavia  non può essere superiore a tre anni (quattro nel caso di diploma quadriennale regionale)
  1. Il secondo tipo previsto è quello dell’ apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale ai fini contrattuali mediante formazione sul lavoro ed apprendimento tecnico-professionale.

Questa tipologia   è quella più  largamente diffusa, può essere utilizzata in tutti i settori di attività pubblici o privati ed  è rivolta ai giovani di età compresa tra 18 e 29 anni ( può essere stipulata già a partire dal diciassettesimo anno di età con i soggetti che abbiano già conseguito una qualifica professionale ai sensi del d.lgs. 226 del 2005)

La determinazione della durata, anche minima, del contratto è totalmente rimessa agliaccordi interconfederali ed ai contratti collettivi, ma per la componente formativa la legge fissa il limite massimo di durata in tre anni, elevati a cinque per le figure professionali dell’artigianato individuate dalla contrattazione collettiva.

  1. La terza tipologia, anch’essa utilizzabile in tutti i settori di attività sia pubblici che privati, è costituita dall’ apprendistato di alta formazione e di ricerca. Ne sono destinatari i  giovani di età compresa tra 18 e 29 anni e può essere utilizzato per il conseguimento di diplomi di istruzione superiore, di titoli di studio universitari, compresi dottorati di ricerca, nonché per la specializzazione tecnica superiore o per il praticantato nell’ambito di professioni ordinistiche. Il limite minimo di età anche in tal caso scende a 17 anni per i giovani in possesso di una qualifica professionale. La durata e la regolamentazione del contratto per quanto attiene alla componente formativa sono rimesse alle Regioni, in accordo con le associazioni di lavoratori e datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e le altre istituzioni formative o di ricerca.

L’art. 7, comma 4, del Testo unico prevede infine la possibilità di ricorrere all’apprendistato per la qualificazione o riqualificazione professionale di lavoratori in mobilità. In tal caso non è previsto alcun limite di età per la stipulazione del contratto, né sono individuati limiti di durata.

Per quanto concerne la disciplina del contratto di apprendistato, il nuovo Testo unico  rimanda esplicitamente  a quanto definito  in sede di contrattazione collettiva.(l’art. 2, comma 1, della legge fa infatti esplicito  rimando agli accordi interconfederali ed ai contratti collettivinazionali di lavoro), limitandosi a fissare una serie di principi generali, ai quali le parti sociali dovranno attenersi e  che possiamo riassumere nei seguenti punti:

  1. la obbligatorietà  della forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale da definire, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto;
  2. una durata minima del contratto non inferiore a sei mesi, fatte salve le ipotesi contemplate dall’art. 4 comma 5 D.Lgs. 167/2011 (ossia di rapporti instaurati con datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali);
  3. il divieto di retribuzione a cottimo;
  4. la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e in modo graduale all’anzianità di servizio;
  5. la presenza di un tutore o referente aziendale;
  6. la possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali , anche attraverso accordi con le Regioni;
  7. la possibilità del riconoscimento, sulla base dei risultati conseguiti all’interno del percorso di formazione esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi, nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;
  8. la registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita nel libretto formativo del cittadino
  9. la possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia,infortunio, maternità o altra causa di sospensione involontaria del rapporto superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi;
  10. il divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, con applicazione delle sanzioni previste dalla normativa vigente in caso di licenziamento privo di giustificazione;

Di conseguenza  Tutti i CCNL (Contratti nazionali di lavoro) definiscono le condizioni  normative  e retributive riferite allo svolgimento  dell’apprendistato nello specifico settore.  Vengono altresì previste specifiche  tabelle retributive riferite agli apprendisti che dispongono il progressivo aumento delle retribuzioni  nel corso del tempo  con  avvicinamento al 100% della retribuzione  spettante agli addetti alla medesima mansione   e  qualifica professionale.

Infine il Testo Unico  prevede che il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente tramite agenzie di somministrazionenon può essere superiore al cento per cento dei dipendenti  specializzati e qualificati in servizio presso datore di lavoro medesimo, con possibilità di deroga per colui che non abbia dipendenti specializzati o qualificati o ne abbia in numero inferiore a tre. In tal caso possono essere assunti non più di tre apprendisti.

Il d. lgs. 167/2011 e la legge di stabilità 2012, al fine di incentivare l’utilizzo  dell’apprendistato e di promuovere l’occupazione giovanile, hanno introdotto agevolazioni contributive a favore dei datori di lavoro che assumono con questo contratto di lavoro ed in particolare hanno stabilito che: .

  • I datori di lavoro con al massimo 9 dipendenti e che decidono di assumere apprendisti dal 1° gennaio 2012 e fino al 31 dicembre 2016 potranno godere di uno sgravio contributivo totale (100%) per i periodi contributivi maturati nei primi 3 anni di contratto (periodo che coincide generalmente con la durata massima del contratto di apprendistato stesso).
    Per i periodi contributivi maturati successivamente al 3° anno di contratto di apprendistato, si passa poi all’aliquota contributiva ordinaria prevista per l’apprendistato (10 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali);
  • per gli altri datori di lavoro ( di aziende maggiori )  è prevista un’aliquota contributiva comunque vantaggiosa pari al 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Mi hanno proposto un contratto di apprendistato in PT, è possibile?

Sì, l’attuale normativa non esclude che possa attivarsi un contratto di apprendistato in part time per tutte e tre le forme previste, tuttavia la parte formativa non può essere ridotta(come minimo 120 ore nel triennio), quindi la riduzione oraria sarebbe solo a carico delle ore effettivamente lavorate.

Quel che conta sapere è che nel diritto del lavoro prevale sempre la sostanza e pertanto occorre valutare se, come spesso avviene, in realtà il lavoratore non venga formato, ma semplicemente l’apprendistato sia un modo per dissimulare un normale rapporto subordinato.

Sono stata assunta quasi tre anni fa come apprendista parrucchiera, non ho mai fatto neanche un’ora di formazione, che posso fare ?

La non effettuazione della formazione  in un contratto d’apprendistato configura la possibilità per la lavoratrice di rivendicare  il rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dall’instaurazione  del rapporto stesso, con il diritto a  richiedere  tutte le differenze retributive e contributive spettanti, ivi compreso il riconoscimento della qualifica professionale corrispondente alla mansione svolta.Tuttavia tale riconoscimento non è automatico ma  è necessario promuovere  una vertenza sindacale o ,  più frequentemente  un ricorso giudiziale presso il tribunale  del lavoro nei confronti del datore di lavoro .

Ti suggeriamo perciò di contattare direttamente  uno sportello CLAP ,  per poterti consigliare e  avere tutte le informazioni necessarie.  Nel caso decidessi di fare causa potrai trovare anche assistenza di un legale specializzato in diritto del lavoro.

Sto per essere assunto come apprendista, quali sono i requisiti necessari perché un contratto professionalizzante sia  corretto?

Il contratto di assunzione in apprendistato deve essere stipulato necessariamente in forma scritta e sottoscritto dal datore di lavoro e dall’apprendista.

Il contratto deve contenere:
1)    l’attività lavorativa (prestazione) oggetto del contratto;
2)    la durata del periodo di prova e del periodo di formazione in apprendistato, nell’ambito dei limiti massimo e minimo fissati dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
3)    il livello di inquadramento iniziale, intermedio e finale;
4)    la qualificazione contrattuale che potrà essere acquisita al termine del rapporto

Il periodo di formazione previsto per l’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere ha una durata massima di tre anni; per le  aziende  artigiane la durata della formazione può arrivare fino a 5 anni. Le durate  indicate vanno sempre intese come limite massimo.

E’ previsto anche un limite minimo di durata pari a sei mesi, tranne per le attività che si svolgono in cicli stagionali individuate dalla contrattazione collettiva.

Il contratto di apprendistato deve essere sempre accompagnato dal Piano Formativo Individuale (PFI), che  deve essere perfezionato entro il limite massimo di 30gg. dalla stipula del contratto. Esso  deve  contenere:
•    i dati relativi all’azienda, all’apprendista e al tutor o referente aziendale;
•    l’indicazione del profilo professionale o formativo di riferimento, tra quelli elaborati dalla contrattazione collettiva, con gli obiettivi da conseguire espressi in termini di conoscenze e competenze;
•    le modalità di articolazione e di erogazione della formazione di competenza aziendale

Si sta per concludere il mio contratto di apprendistato, il mio datore di lavoro però mi ha proposto di proseguire l’attività  con un contratto di collaborazione a progetto di un anno. Che fare?

 Ecco il caso di un comportamento elusivo, finalizzato ad aggirare la legge: infatti il Testo unico dell’apprendistato ( D. lgs 14 settembre 2011, n167) prevede esplicitamente che il contratto di apprendistato sia un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti, se , concluso il periodo di formazione, prosegue il rapporto di lavoro in essere con le stesse mansioni e attività per cui è stato attivato il contratto di apprendistato. Il contratto a progetto sarà nullo.

 Quindi delle due l’una : o il tuo datore di lavoro attesta che  non hai conseguito le competenze professionali, richieste per svolgere le mansioni per cui è stato attivato a suo tempo il contratto e quindi , rescinde il rapporto di lavoro a conclusione del percorso formativo ( in genere tre anni, ma se lavori presso un artigiano può essere anche di 5 anni )oppure deve proseguire con un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Poiché si tratta di  una questione molto delicata che può determinare o meno la possibilità  di proseguire nel l’attuale rapporto di lavoro, ti consigliamo di prendere un appuntamento con uno sportello di Clap per poter valutare con piena cognizione di causa le azioni da intraprendere.

Lavoro da due  anni come apprendista elettrauto come faccio a controllare  quello che mi spetta come stipendio mensile ?

Ogni categoria lavorativa ha un o più contratti nazionali  di riferimento (nel tuo caso quello delle imprese artigiane metalmeccaniche) che  comprende  norme specifiche relative ai trattamenti degli apprendisti, ivi comprese le tabelle salariali, che variano in rapporto con l’anzianità aziendale, l e competenze di partenza, e la qualifica lavorativa attribuita e da conseguire.

Sul sito del CNEL o in quelli dei sindacati di categoria, puoi trovare e consultare le tabelle analitiche di ogni contratto, ti suggeriamo comunque di venire presso uno sportello di Clap, perché verificare tutti gli aspetti della retribuzione non è semplice e presso i nostri sportelli potrai trovare  volontari esperti nella verifica delle retribuzioni che potranno aiutarti a conoscere al meglio  i tuoi diritti.

NORMATIVA  DI RIFERIMENTO
  D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30, artt. 47 – 53

  D.lgs. 14 settembre 2011, n. 167, Testo unico dell’apprendistato

  Legge 12 novembre 2011, n. 183, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità per il 2012), art. 22

  Contratto Collettivo di Lavoro applicato nell’azienda

  Legge 28 giugno 2012 n. 92, Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita

  Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99

Cosa si intende per licenziamento e quali sono le forme in cui deve essere intimato ?

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro recede dal rapporto di lavoro, per essere legittimo, deve essere supportato da una motivazione idonea a giustificarlo

la legge impone al datore di lavoro di comunicare il licenziamento per iscritto e afferma che il licenziamento verbale è inefficace                       

Il licenziamento comunicato solo oralmente non produce alcun effetto e, in particolare, non interrompe il rapporto di lavoro tra le parti, sicché il datore di lavoro è tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando non sopravvenga un’efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto di lavoro o l’effettiva riassunzione. Va comunque impugnato in 60 giorni.

Cosa devo fare se il licenziamento mi è comunicato solo oralmente ?

E’ necessario che il lavoratore faccia pervenire immediatamente una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia) nella quale lo stesso si mette a disposizione per la ripresa immediata dell’attività dando conto del fatto di essere stato allontanato dal datore di lavoro.

Le conseguenze derivanti dal licenziamento intimato in forma orale sono ora espressamente disciplinate dall’art. 18 Statuto lavoratori, come modificato dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro. ( cosiddetta “Riforma Fornero “).  In particolare per questa ipotesi di licenziamento illegittimo si prevede la cd. tutela reintegratoria piena. Conseguentemente, il lavoratore ha diritto a:

1.  essere reintegrato nel posto di lavoro

2.  ottenere il risarcimento del danno per il periodo successivo al licenziamento e fino all’effettiva reintegra, dedotto quanto percepito da altra occupazione (il risarcimento non può comunque essere inferiore nel minimo di cinque mensilità di retribuzione)

3.  ottenere il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegra

4. scegliere fra la reintegra e l’indennità sostitutiva pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.

Cosa devo fare se ricevo la lettera di licenziamento ?

Come ed entro quali termini devo impugnare il licenziamento ?

Impugnazione deve avvenire entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento in forma scritta.

L’impugnazione del licenziamento può essere fatta con qualsiasi atto stragiudiziale comunque idoneo a manifestare la volontà del lavoratore: normalmente basta una raccomandata A/R (di cui si deve tenere copia). Se sei in ritardo manda anche un telegramma.

Ti consigliamo tuttavia di metterti in contatto subito con uno sportello di CLAP per poter avere da subito la giusta assistenza e i migliori consigli su come scrivere la lettera di impugnazione

Inoltre devi sapere che  l’impugnazione è  efficace  solo se è seguita entro i successivi 180 giorni, dal deposito in tribunale del ricorso oppure dalla comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, per questo ti serve il supporto e  il consiglio di uno sportello esperto e la consulenza di un legale (che puoi trovare gratuitamente presso i nostri sportelli, se ti iscrivi a Clap )

Quali sono le motivazioni idonee a motivare un licenziamento individuale ?

GIUSTA CAUSA
Comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119).
La giusta causa pertanto, rappresenta nei fatti il licenziamento disciplinare per eccellenza; tale da troncare immediatamente il rapporto di lavoro senza neppure erogazione dell’indennità di preavviso.
In quanto sanzione disciplinare dovrà essere stata necessariamente precedutadall’attivazione dell’obbligatorio procedimento disciplinare ed in particolare dalla preventiva comunicazione delle “contestazioni di addebito” al fine di consentire al dipendente una adeguata difesa da accuse eventualmente infondate.
I contratti collettivi elencano normalmente le ipotesi ed i fatti ritenuti tali da costituire giusta causa di licenziamento (per maggiori approfondimenti si veda Licenziamento per giusta causa);

GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO
E’ rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso.
Anche il giustificato motivo soggettivo pertanto rientra nell’ambito dei licenziamenti di tipo disciplinare, costituendo pur sempre una sanzione a comportamenti ritenuti tali da incidere in modo insanabile nel regolare proseguimento del rapporto di lavoro.
Ricordiamo che il licenziamento di tipo disciplinare è soggetto ad una specifica procedura, la cui violazione rende nullo il licenziamento stesso.
Vengono fatte rientrare nell’ambito del giustificato motivo soggettivo anche le figure dello scarso rendimento e/o del comportamento negligente del dipendente.
Trattandosi comunque di valutazioni sul comportamento del dipendente, anche nelle ipotesi di “scarso rendimento”,  perché il licenziamento sia considerato legittimo anche in questo caso  è necessaria che sia  stata effettuata la preventiva contestazione degli addebiti con diritto del dipendente a svolgere adeguatamente le proprie difese

GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
E’ rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’impresa.
quali la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.
Vengono ricondotti alla figura del giustificato motivo oggettivo anche le ipotesi in cui il lavoratore perda, non per propria colpa, le capacità necessarie a svolgere le mansioni per cui venne assunto.
Tale ipotesi tuttavia è stata più volte oggetto controversie giudiziarie e la giurisprudenza ha delimitato tale fattispecie..

Tuttavia, il nostro ordinamento prevede ancora alcuni casi in cui il lavoratore può essere licenziato “ad nutum”, e cioè in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In particolare, ciò può avvenire esclusivamente nelle seguenti ipotesi:

  • Lavoratori in prova durante tale periodo (che comunque non può protrarsi oltre sei mesi);
  • Lavoratori domestici;
  • Dirigenti, purché il licenziamento avvenga nel rispetto delle norme previste dai contratti collettivi in materia;
  • Sportivi professionisti;
  • Apprendisti al termine dell’apprendistato;
  • Dipendenti che abbiano raggiunto il requisito pensionistico e abbiano superato i 70 anni di età anagrafica

 

 Per tutti gli altri rapporti di lavoro,  in assenza di una delle predette cause, il licenziamento comminato non può dirsi legittimo e il lavoratore ha il diritto di chiedere far valere le tutele previste dalla legge.

 E' quindi estremamente importante che sia un esperto (sportello vertenze CLAP e studio legale specializzato in diritto del lavoro) a considerare nel merito le motivazioni addotte, così da verificarne l'attendibilità

 

Quali tutele sono previste a favore del lavoratore illegittimamente licenziato dopo la cd. riforma Fornero (legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro)?

La legge 92/2012 di riforma del lavoro ha introdotto importanti modifiche sulla materia del licenziamento.

 La modifica più rilevante ha toccato l’art. 18 Statuto dei .Lavoratori, che tutela i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti. Prima era prevista sempre la reintegra e il pagamenot di tutte le retribuzioni dal licenziamento alla reintegra. Adesso occorre fare un avalutazioen caso per caso.

Tutela reintegratoria “piena

Tale tutela si applica:

  • in tutti i casi di nullità del licenziamento, perché discriminatorio oppure comminato in costanza di matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità oppure negli altri casi previsti dalla legge;
  • nei casi in cui il licenziamento sia inefficace perché intimato in forma orale.

È bene precisare che essa trova applicazione a prescindere dal numero di lavoratori occupati dal datore di lavoro ed è prevista anche a favore dei dirigenti.

In tali ipotesi, il giudice, dichiarando nullo il licenziamento, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore al risarcimento del danno subito per il periodo successivo al licenziamento e fino alla reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorrente fra il licenziamento e la reintegrazione.

Il risarcimento del danno è rappresentato da un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione e non può in ogni caso essere inferiore alle cinque mensilità (non è invece previsto un limite massimo).

Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.

Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha, comunque, la possibilità- entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza- di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

  • Tutela reintegratoria anche quando
  • in caso licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo illegittimo perché il fatto contestato non sussiste o perché il fatto rientra in una delle condotte punibili con sanzione conservativa sulla base del CCNL applicabile;
  • in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se il fatto è manifestamente infondato.

Il giudice, annullando il licenziamento, ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno oltrechè al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo fino alla reintegrazione effettiva. Il risarcimento, in questo caso, corrisponde ad una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto sia ciò che il lavoratore ha effettivamente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, sia ciò che lo stesso avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Il legislatore fissa inoltre un limite massimo per il risarcimento, che non può in ogni caso superare un importo pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.Anche in tal caso, il lavoratore può optare per l’indennità sostitutiva della reintegra.

  • Tutela meramente obbligatoria

Tale tutela si applica in tutte le ipotesi non contemplate dalle altre tutele, qualora il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro.In tal caso il giudice, dichiarando risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti;

  • Tutela obbligatoria “ridotta”

Tale tutela si applica alle ipotesi in cui il licenziamento risulti illegittimo per carenza di motivazione o per inosservanza degli obblighi procedurali previsti per il licenziamento disciplinare o per il giustificato motivo oggettivo.

In tali casi il giudice, dichiarando l’inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un indennità variabile tra sei e dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, da valutarsi da arte del giudice in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro.

  • Procedura di conciliazione per i licenziamenti per motivi economici

La  legge Fornero è intervenuta altresì in tema di licenziamento individuale per motivi economici, in relazione al quale è stata introdotta una nuova procedura in sede amministrativa, che deve obbligatoriamente essere esperita dai datori di lavoro a cui sia applicabile la disciplina di cui all’art. 18 ( le aziende con oltre 15 dipendenti ) e che intendano licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, al fine di spingere le parti a trovare soluzioni consensuali alla controversia.

In questo caso, il licenziamento deve essere preceduto da una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro (Dtl), ove ha sede l’unità produttiva nella quale è impiegato il lavoratore. La comunicazione deve essere inoltre trasmessa per conoscenza a quest’ultimo

In tale comunicazione, il datore di lavoro deve indicare la propria intenzione di procedere al licenziamento e i motivi del medesimo, oltre alle eventuali misure per la ricollocazione.

Entro sette giorni dalla ricezione della richiesta, la Dtl trasmette alle parti la convocazione per un incontro (che si deve svolgere secondo le disposizioni contenute nell’art. 410 cod. proc. civ.) finalizzato ad esaminare eventuali soluzione alternative al licenziamento.

La procedura deve comunque concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione, salvo che le parti non chiedano una proroga per arrivare ad un accordo o che la procedura non debba essere sospesa per legittimo impedimento del lavoratore (la sospensione non può comunque essere superiore a quindici giorni).

 La procedura  può concludersi in diversi modi:

 

  • se il tentativo di conciliazione fallisce o il termine di 20 giorni decorre inutilmente, il datore di lavoro può comunicare al lavoratore il licenziamento che ha efficacia a decorrere dalla prima comunicazione (Il lavoratore può procedere ad impugnare  secondo quanto previsto ai punti precedenti)
  • se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore ha diritto di accedere all’Assicurazione sociale per l’impiego. ( che sostituisce il cosiddetto  assegno di disoccupazione ), In questo caso è implicita la rinuncia da parte del lavoratore ad impugnare il licenziamento e frequentemente in sede di conciliazione viene  richiesta la sottoscrizione  di una “liberatoria “  che ha l’effetto di  esplicitare la rinuncia da parte del lavoratore ad agire nei confronti dell’ex datore di lavoro per rivendicare   eventuali spettanze e risarcimenti pregressi.

Per questa ragione è molto importante che in sede di conciliazione il lavoratore sia supportato da un  esperto/rappresentante sindacale di sua fiducia  ( anche questa consulenza/servizio verrà garantito gratuitamente dagli esperti di CLAP a tutti i /le iscritti/e)

 

Qualora tale procedura non venisse rispettata, il licenziamento deve essere dichiarato inefficace ai sensi del nuovo art. 18 Statuto dei. lavoratori: in tal caso, il giudice applica la cd. tutela obbligatoria ridotta (condanna, cioè, il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa fra sei e dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, misurandola il relazione alla gravità del vizio formale o procedurale commesso).

Chi lavora in un’impresa di piccole dimensioni è tutelato contro i licenziamenti ingiustificati?

Il licenziamento nelle imprese che occupano meno di 15 dipendenti è disciplinato dalla legge 604/66

Questa legge stabilisce che il licenziamento deve essere fatto con atto scritto, prevedendo esplicitamente la nullità del licenziamento intimato a voce.

Inoltre, a richiesta del lavoratore, il datore di lavoro deve fornire le motivazioni che lo hanno indotto a procedere al licenziamento.

Se le ragioni addotte dal datore di lavoro non appaiono convincenti, il dipendente licenziato può rivolgersi al giudice del lavoro, che deve valutare se il licenziamento sia motivato da una giusta causa o da un giustificato motivo.

Nel caso in cui il si accertasse che non sussiste nè la giusta causa nè il giustificato motivo, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro a riassumere il dipendente, oppure, in alternativa, a versargli un risarcimento.

La misura del risarcimento deve essere predeterminata dal Giudice, tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità di retribuzione, tenendo conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore, nonchè del comportamento e della condizioni delle parti.

In ogni caso, prima di ricorrere al Giudice, è necessario promuovere il tentativo di conciliazione e arbitrato. Si tratta di una procedura, di regola attivata da una organizzazione sindacale, che si svolge presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione, che ha il compito di cercare una soluzione bonaria della controversia. ( anche in questo caso il supporto degli esperti CLAP verrà offerto gratuitamente  agli/alle  iscritti/e)

In caso di accertata nullità del licenziamento anche per lavoratori di aziende  fino a 15 dipendenti si ha diritto alla tutela reintegratoria piena, consistente in:

  • la reintegrazione nel posto di lavoro;
  • il risarcimento del danno, ossia un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione e non può in ogni caso essere inferiore alle cinque mensilità (non è invece previsto un limite massimo). Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative;
  • il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
  • il cd. diritto di opzione, ossia la possibilità di scegliere fra l’effettiva reintegra oppure un’indennità sostitutiva commisurata a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.

Infatti tale regime si applica, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, nei seguenti casi:

  • licenziamento nullo perché discriminatorio;
  • licenziamento intimato in concomitanza con il matrimonio;
  • licenziamento comminato in violazione delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità;
  • licenziamento determinato da motivo illecito determinante;
  • altre ipotesi di licenziamento nullo previsto dalla legge;
  • licenziamento inefficace perché intimato in forma orale.

Può il datore di lavoro rifiutare la prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso?

Eccezione fatto per licenziamento per giusta causa (ovvero un inadempimento del lavoratore talmente grave, da rendere intollerabile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto), Il licenziamento  deve essere intimato con il preavviso stabilito dal contratto collettivo di categoria.

Durante il periodo di preavviso, di regola, il lavoratore deve continuare a prestare la sua attività lavorativa.

Tuttavia il datore di lavoro può dispensare il lavoratore da tale obbligo; in un simile caso, il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore l'indennità sostitutiva, pari alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato durante il preavviso.

Dispensare il lavoratore dall'obbligo di lavorare durante il preavviso comporta vantaggi e svantaggi. Dal primo punto di vista, si deve osservare che il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione, senza dover prestare la propria attività lavorativa. Di contro, con la corresponsione della indennità sostitutiva del preavviso, il rapporto di lavoro viene immediatamente a cessare, e il lavoratore perde gli eventuali benefici che avrebbe potuto conseguire qualora il rapporto di lavoro fosse proseguito, sia pure solo fino alla scadenza del preavviso. Per esempio, il lavoratore non fruirà degli aumenti retributivi che andranno a regime dopo la cessazione del rapporto. Inoltre, il lavoratore perderà i vantaggi derivanti dall'effetto interruttivo che la malattia ha nei confronti del preavviso.

Si vede quindi che, a seconda dei casi, talvolta il lavoratore potrebbe essere interessato a lavorare durante il preavviso; altre volte, l'interesse potrebbe essere quello di percepire la corrispondente indennità sostitutiva.

In ogni caso il lavoratore non può, senza il consenso del datore di lavoro, pretendere di non effettuare la prestazione lavorativa, ricevendo in cambio l'indennità. Simmetricamente, il datore di lavoro non può, senza il consenso del lavoratore, pretendere che quest'ultimo non lavori, accontentandosi di ricevere l'indennità.

Più precisamente, se il datore di lavoro rinuncia al preavviso lavorato, il lavoratore non può unilateralmente pretendere di lavorare; tuttavia, può, se lo ritiene, fruire di tutti i benefici economici e normativi che gli sarebbero dovuti se lavorasse. A questo fine, è necessario comunicare tempestivamente e per iscritto  al datore di lavoro il proprio dissenso alla dispensa del preavviso lavorato, invitandolo a ricevere la propria prestazione lavorativa e avvertendolo che, in difetto, egli non è liberato dagli obblighi che sarebbero derivati qualora fosse stata adempiuta la prestazione lavorativa durante il preavviso.

 

E’ possibile, e a quali condizioni, licenziare un lavoratore che sia divenuto inidoneo allo svolgimento della mansione?

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione recentemente  hanno risolto un contrasto che divideva i Giudici in merito alla possibilità di licenziare un lavoratore diventato inidoneo, per motivi di salute, allo svolgimento della sua mansione.

Le Sezioni Unite sono partite dal presupposto che la prestazione del lavoratore diventato inidoneo è realmente impossibile, con conseguente legittimità del licenziamento, a condizione che quel lavoratore non possa svolgere altra mansione professionalmente equivalente a quella che gli era stata assegnata.

Per questo motivo, il Giudice deve considerare sia le residue capacità lavorative del lavoratore, che l’organizzazione aziendale; sulla scorta di questa comparazione, potrà essere valutata la persistenza dell’interesse del datore di lavoro alla prestazione di quel lavoratore. In ogni caso, spetta al datore di lavoro provare l’impossibilità di utilizzare altrimenti quel lavoratore.

Tuttavia, mancando nell’organizzazione aziendale una mansione equivalente, l’indagine deve essere estesa anche alle mansioni dequalificanti in quanto la salvaguardia del posto di lavoro è un bene primario, per tutelare il quale è ammissibile sacrificare interessi di minor rilevanza, qual è appunto quello che sottende il divieto di dequalificazione.

La pronuncia delle Sezioni Unite ha esteso la verifica della possibilità di utilizzare altrimenti il lavoratore anche in mansioni dequalificanti. In questo modo, si solleva il delicato problema (non nuovo, per la verità) della possibilità di sacrificare interessi pur importanti in nome della tutela di altri interessi, ritenuti prioritari. In ogni caso, rispetto all’orientamento che era prevalente, la sentenza delle Sezioni Unite rappresenta sicuramente un sensibile passo in avanti, perché sancisce comunque il principio che la sopravvenuta inidoneità del lavoratore non costituisce di per sé un giustificato motivo di licenziamento.

Le dimissioni sono l'atto con cui un lavoratore dipendente recede unilateralmente dalcontratto che lo vincola al datore di lavoro.

Secondo la legge le dimissioni si configurano come una facoltà del lavoratore. Questa facoltà può essere esercitata senza alcun limite, con il solo rispetto dell'obbligo di dare il preavvisoprevisto dai contratti collettivi.

Le dimissioni consistono quindi in un atto volontario del lavoratore. In questo senso sono da considerarsi illegittime le dimissioni estorte o richieste contestualmente all’atto dell’assunzione (cd. dimissioni in bianco).

 

E' legittima la pretesa del datore di lavoro di far sottoscrivere,  fin dall'inizio del rapporto, una lettera di dimissioni senza data, da utilizzare poi, nel corso del rapporto, come mezzo di pressione e ricatto?

Talora i datori di lavoro impongono, al lavoratore,(molto più spesso alla lavoratrice per aggirare il divieto di licenziamento in caso di gravidanza e puerperio ) come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni senza data, che quindi può essere poi utilizzata in qualsiasi momento, di fatto ponendo il lavoratore e la lavoratrice  in una situazione di soggezione psicologica e ricatto.

Si tratta di una procedura sicuramente illegittima, in quanto diretta ad eludere norme di legge imperative (e cioè inderogabili)..

Spesso il problema è però quello di dimostrare l'esistenza di una simile lettera di dimissioni, e di impedirne l'utilizzo.

Una strategia potrebbe  essere la seguente: una volta che sia terminato il periodo di prova “regolare”, e dunque l'assunzione sia divenuta definitiva ( nel caso di un raporto di lavoro a tempo indeterminato ), è possibile inviare una raccomandata al datore di lavoro, diffidandolo dall'utilizzare la lettera di dimissioni in suo possesso, in quanto illegittima e non sottoscritta spontaneamente.

A causa  soprattutto delle proteste  dei movimenti femminili che ne richiedevano il ripristino, come elemento di contrasto  dei licenziamenti discriminatori a causa della gravidanza e maternità, la cosiddetta Riforma  Fornero ( legge 92/2012) ha previsto una nuova procedura per rassegnare le dimissioni  con l’obiettivo ( non riuscito ) di contrastare questo fenomeno  e ogni altro tentativo del datore di estorcere dimissioni non volontarie.

L’attuale  procedura a cui viene subordinata l’efficacia delle dimissioni. prevede due modalitàdifferenti, a seconda che le dimissioni siano presentate o meno da lavoratrici/lavoratori che godono delle tutele in materia di maternità e paternità.

In particolare, quando si tratta di dimissioni presentate dalla lavoratrice in gravidanza o dalla lavoratrice/lavoratore durate i primi tre anni di vita del bambino (o di accoglienza del minore adottato o in affidamento), è necessaria la convalida di tali dimissioni da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio: in sostanza, dopo che le dimissioni sono state presentate, le parti debbono convalidarle davanti al Servizio ispettivo del Ministero del lavoratore e la risoluzione del rapporto non può produrre effetti sino a che tale adempimento non venga effettivamente compiuto.

In tutti gli altri casi, affinchè le dimissioni possano produrre effetto, sono previste due alternative:

   > dopo che le dimissioni sono state presentate o dopo che è stata sottoscritta la risoluzione consensuale del rapporto, le parti convalidano l’atto presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competente;

> il lavoratore sottoscrive una dichiarazione in calce alla comunicazione di cessazione del rapporto.

Anche in questo caso, la risoluzione del rapporto è sospensivamente condizionata all’adempimento di una delle due alternative.

Quando tali operazioni non vengano effettuate contestualmente all’atto, il datore di lavoro può, entro 30 giorni, invitare il lavoratore a presentarsi avanti alla DTL o al centro per l’impiego al fine di far convalidare lo stesso o di far sottoscrivere la dichiarazione di cui sopra.
Se il datore omette di inviare tale invito, le dimissioni o la risoluzione consensuale si intendono prive di effetto.

Successivamente ed entro sette giorni dall’invito, il lavoratore può:

>aderire ad esso e rendere efficace la risoluzione del rapporto di lavoro;

   > non aderire all’invito: in questo caso, il rapporto si intende comunque risolto;

>revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale (anche in forma scritta). In tal caso, il rapporto prosegue, ma il lavoratore non matura alcun diritto retributivo nel periodo intercorso fra le dimissioni e la revoca se, durante lo stesso, non sia stata svolta alcuna attività lavorativa.

Il mio  superiore  mi ha anticipato la   decisione già presa dalla direzione  di  licenziarmi a breve per motivi di ridimensionamento degli organici , mi ha proposto in alternativa di  rassegnare le dimissioni. Che cosa mi conviene fare ?

NON DARE MAI LE DIMISSIONI, senza intavolare una trattativa. Anche se vuoi andare via è sempre meglio intavolare una trattativa sulla condizioni delle dimissioni
Quel che più conta però è che il licenziamento può essere impugnato avanti il Giudice del lavoro, mentre le dimissioni, salvo casi eccezionali, no.

Questo significa la possibilità di far verificare al Giudice che effettivamente sussistessero le ragioni che hanno portato al licenziamento (che in molti casi si rivelano, al vaglio della Magistratura, insussistenti). Nel suo caso si tratterebbe di accertare l’esistenza di un giustificato motivo oggettivo.

Nel caso in cui fosse esclusa la legittimità del licenziamento, al lavoratore- qualora si trattasse di aziende di più di 15 dipendenti- spetterebbe la tutela prevista dall’ art. 18Statuto dei Lavoratori che- a seguito della Legge Fornero – , prevede quattro differenti forme di tutela a seconda del vizio da cui il licenziamento illegittimo è caratterizzato(per maggiori approfondimenti su questo punto, si veda il box  Licenziamento Individuale).

E' possibile revocare le dimissioni?


E’ molto complicato revocare le proprie dimissioni, perché occorre dimostrare che la tua volontà è falsata da errore o violenza. Occorre però ricordare che come detto prima la legge fornero chide che le dimisisoni siano convalidate alla DPL

Cosa si intende per dimissioni per giusta causa?

Il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni in tronco o senza preavviso, quando si sia verificata una causa che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.

La giurisprudenza ha riconosciuto le ipotesi di “giusta causa” facendo riferimento a gravi inadempimenti del datore nell’ambito del rapporto di lavoro (es. omessa corresponsione della retribuzione, omesso versamento dei contributi previdenziali, molestie sessuali, dequalificazione professionale);

in tal caso, proprio perché il recesso è stato determinato da un fatto colpevole del datore di lavoro, il lavoratore che recede per giusta causa conserva comunque il diritto a percepire l’indennità sostitutiva del mancato preavviso, nel caso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Tale indennità spetta al lavoratore per motivi di equità, ossia a titolo di indennizzo per la mancata percezione delle retribuzioni per il periodo necessario al reperimento di una nuova occupazione, tenuto conto che l’interruzione immediata del rapporto è, in realtà, imputabile al datore di lavoro.

Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiuti così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.

Il lavoratore deve consegnare o inviare con tempestività la lettera con cui comunica la sua volontà di dimettersi per giusta causa, e cioè subito dopo il verificarsi della causa che ha reso impossibile la prosecuzione del rapporto. Tale comunicazione non necessita di specifiche formule, ma deve comunque fare riferimento alla giusta causa che ha determinato il recesso.

Normativa

  • Codice civile
  • Contratto collettivo di lavoro
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99