Focus

Sergio Bologna: «Ecco come i freelance si auto-organizzano nella Sharing economy»

6 October 2015

Lo storico del movimento operaio Sergio Bologna racconta i movimenti dei freelance e il loro lavoro nell’economia della condivisione nel pamphlet “The New Workforce”(Asterios)

Freelance

di Roberto Ciccarelli*

 

«È un grave errore con­si­de­rare le pro­ble­ma­ti­che dei self employed come sepa­rate e incom­pa­ti­bili con quelle di tutte le altre figure della new eco­nomy dell’era digi­tale. Il tema della new work­force, della work­force of the future [Forza lavoro del futuro, ndr] è cen­trale: sia che lo si tratti dal punto di vista socio­lo­gico, poli­tico, giu­ri­dico, cul­tu­rale o antro­po­lo­gico, è desti­nato a cre­scere d’importanza» scrive Ser­gio Bolo­gna nel pam­phlet: La New Work­force. Il movi­mento dei free­lance (Aste­rios, pp.50, euro 7), un agile libro che può essere con­si­de­rato come la guida alla tra­sfor­ma­zione del lavoro indi­pen­dente negli Stati Uniti e in Europa, Ita­lia compresa.

Lo sto­rico del movi­mento ope­raio, già autore della tesi sul «lavoro auto­nomo di seconda gene­ra­zione», oggi con­ti­nua a esplo­rare il con­ti­nente emerso del quinto to, cioè di coloro «che lavo­rano per conto pro­prio, che non hanno un sala­rio per­ché non dipen­dono da imprese pri­vate o ammi­ni­stra­zioni pub­bli­che, lavo­rano da sole senza col­la­bo­ra­tori sala­riati». Per molto tempo, la mag­gio­ranza dei lavo­ra­tori indi­pen­denti negli stati capi­ta­li­sti è stata costi­tuita da tre cate­go­rie di per­sone: «i con­ta­dini pic­coli pro­prie­tari di un ter­reno o col­ti­va­tori diretti e i pic­coli com­mer­cianti che ten­gono un nego­zio» scrive Bolo­gna.

I liberi pro­fes­sio­ni­sti ordi­ni­stici come medici, avvo­cati, notai o gior­na­li­sti svol­ge­vano «un’azione di sus­si­dia­rietà rispetto allo Stato». Con la crisi del ceto medio e la cre­scita delle nuove pro­fes­sioni all’interno dell’economia della con­di­vi­sione («sha­ring eco­nomy») i sog­getti sono enor­me­mente aumen­tati, modi­fi­cando i con­fini tra il lavoro sala­riato e quello auto­nomo, senza con­si­de­rare quelli tra il lavoro auto­nomo tra­di­zio­nale, pro­fes­sio­nale e il «pre­ca­riato». Con la fine dello Stato sociale, e ancor più oggi con il crollo dei red­diti e dello «sta­tus» sociale, l’enorme pla­tea degli «indi­pen­denti» (più o meno un terzo della forza-lavoro attiva negli Stati capi­ta­li­stici, con­fer­mano le sta­ti­sti­che) è stata messa ai mar­gini ed esclusa dalle poli­ti­che attive del lavoro, dai pro­grammi che incen­ti­vano l’occupazione e dalla legi­sla­zione che dovrebbe tute­lare i loro fon­da­men­tali diritti sociali.

Bolo­gna smonta tutti i cli­ché — non solo ita­liani — che hanno rap­pre­sen­tato il «free­lance» come un eroe soli­ta­rio che si appog­gia sul «talento» indi­vi­duale e si fa strada nella «società meri­to­cra­tica». Oppure quello che lo ha rap­pre­sen­tato come lavo­ra­tore «para­su­bor­di­nato» o «falsa par­tita Iva da ripor­tare nell’ordine sim­bo­lico del lavoro sala­riato o dipen­dente. «Il ter­mine “impresa indi­vi­duale” è un non senso — scrive — Il lavoro indi­pen­dente è sem­pli­ce­mente un diverso modo di gua­da­gnarsi da vivere lavo­rando conto terzi». Tra i primi ad avere «sco­perto» la Free­lan­cers Union (FU) di Sarah Horo­witz negli Stati Uniti, Bolo­gna descrive le carat­te­ri­sti­che di un movi­mento dei free­lance che cre­sce anche in Europa. In Ita­lia c’è Acta (affi­liata alla FU) a cui oggi si affianca una nuova sen­si­bi­lità cul­tu­rale e sociale anche tra le pro­fes­sioni «ati­pi­che» (beni cul­tu­rali, ope­ra­tori del sociale) e ordi­ni­sti­che (gli avvo­cati, archi­tetti, le pro­fes­sioni tec­ni­che nella «coa­li­zione 27 feb­braio»), forme di sin­da­ca­li­smo sociale (le Camere del lavoro auto­nomo e pre­ca­rio di Roma — Clap) e molte altre di auto-organizzazione tra cowor­kers, makers e le altre figure della «sha­ring economy».

 

Di Roberto Ciccarelli leggi anche: «Siamo 57 milioni freelance negli Stati Uniti, il lavoro non è gratis e si paga»

 

* Tratto da il manifesto.