Focus

Sciopero sociale: il Paese (finalmente) diviso

20 November 2014

di Francesco Raparelli*

Sciopero sociale

«È stato calcolato e progettato un disegno in queste settimane per dividere il mondo del lavoro, farne terreno di scontro. […] Ma non esiste una doppia Italia, esiste un’Italia unica e indivisibile, che si faccia il lavoratore o l’imprenditore, e questa Italia non consentirà di scendere nello scontro». Sono queste le parole di Renzi, utilizzate per scaldare la platea di Confindustria a Brescia, il 4 novembre, mentre fuori procedevano le contestazioni da parte di movimenti e metalmeccanici. La CGIL, sentendosi chiamata in causa, ha subito precisato che il Paese lo divide il Governo, di certo non lo fa il sindacato. Figurarsi.

Poi, il 14 novembre, è arrivato lo sciopero sociale e generale e il Paese, finalmente, è stato diviso. È emersa in primo piano, cioè, la disuguaglianza insopportabile, tra chi vive di lavoro precario, con 500-600 euro al mese, e chi, dopo aver fatto affari in Italia, sposta i suoi profitti miliardari nei paradisi fiscali europei, Lussemburgo o Irlanda. E dunque la frattura e il conflitto tra nuovi e vecchi poveri, da una parte, e le corporation multinazionali, le banche d’investimento, i fondi pensione, gli agenti dello sfruttamento e della rendita, dall’altra. L’unità dei produttori senza distinzioni di classe, il sogno e l’obiettivo del Partito della Nazione, da ieri è meno solida.

Così come è ancora più chiaro che Renzi, nonostante la forza della sua narrazione tossica, non parla a nome di precari e partite Iva. Anzi, in oltre 40 città, tra picchetti, cortei, blocchi della circolazione e molto altro, decine di migliaia di giovani e meno giovani, studenti e disoccupati, lavoratori autonomi di nuova generazione e Neet, hanno urlato con forza: “non in nostro nome”! Se è vero che i sindacati confederali (CGIL in testa) non hanno fatto nulla nell’ultimo ventennio per impedire il processo di precarizzazione selvaggia e impoverimento di un’intera generazione, è altrettanto vero che la Legge Poletti e il Jobs Act hanno come obiettivo principale quello di rendere il lavoro irreversibilmente più ricattabile, docile, sotto-pagato, servile.

Esistono divisioni buone e divisioni cattive. Le divisioni cattive sono quelle che abbiamo visto drammaticamente in scena a Tor Sapienza, dove lo scontro è tra poveri e segue la linea del colore. Queste divisioni non preoccupano Renzi, perché sono funzionali alla governance neoliberale, la stessa che distrugge le periferie tra tagli al welfare e privatizzazione dei servizi. Ci sono poi le fratture buone, quelle capaci di unire, in particolare di connettere le diverse figure del lavoro segnate da salari da fame, insicurezza, sofferenza. I tanti Laboratori per lo sciopero sociale, nati un po’ ovunque in Italia e anche in alcune metropoli europee (Berlino e Parigi ad esempio), hanno reso possibile le straordinarie mobilitazioni del 14 novembre a partire dalla connessione tra precari e lavoratori dipendenti, sindacati di base e nuovi dispositivi sindacali, movimenti per la difesa dei beni comuni e studenti. Unità nel conflitto, unità per il conflitto.

Tra le cose che più spaventano il Partito della Nazione e i poteri costituiti, da Bagnasco al Viminale, dal Corsera a Confindustria, è che lo sciopero sociale sia un processo di inedita sindacalizzazione diffusa. Non è possibile ridurlo, nonostante non manchino i tentativi, al protagonismo di questo o quel partitino antagonista, a questo o a quel leader, ma è stato piuttosto l’esito di una sperimentazione, anche comunicativa, con pochi precedenti. Uno spazio comune – non appropriabile, abitato da tanti e diversi, come tanti e diversi sono i poveri del nostro tempo – capace di mettere al centro, del discorso e delle pratiche, la lotta dentro e fuori il lavoro, per un welfare universale, per il salario minimo e il reddito di base. Lo spazio, al momento, è prevalentemente nazionale, questa la sua insufficienza, ma le azioni di Berlino e Parigi alludono materialmente a una probabile e necessaria estensione europea. Anche in Europa, infatti, ci sono due divisioni possibili: la frammentazione spaziale e monetaria, fatta di violenza razzista, che hanno in testa Le Pen e Salvini; il conflitto tra la moltitudine dei poveri e le tecnocrazie neoliberali che solo uno sciopero sociale europeo può far emergere in primo piano.

Il 14 novembre è stato un debutto, un successo al di sopra delle aspettative, ma di certo un debutto. Ora si tratta di trasformare la sorpresa in forza e organizzazione capace di estendersi e durare nel tempo. È la catastrofe non congiunturale della nostra epoca a richiedere tanta ambizione.

 

*pubblicato su Huffington Post