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DIMISSIONI

17 November 2013

Le dimissioni sono l'atto con cui un lavoratore dipendente recede unilateralmente dal contratto che lo vincola al datore di lavoro.

Secondo la legge le dimissioni si configurano come una facoltà del lavoratore. Questa facoltà può essere esercitata senza alcun limite, con il solo rispetto dell'obbligo di dare il preavviso previsto dai contratti collettivi.

Le dimissioni consistono quindi in un atto volontario del lavoratore. In questo senso sono da considerarsi illegittime le dimissioni estorte o richieste contestualmente all’atto dell’assunzione (cd. dimissioni in bianco).

 

E' legittima la pretesa del datore di lavoro di far sottoscrivere,  fin dall'inizio del rapporto, una lettera di dimissioni senza data, da utilizzare poi, nel corso del rapporto, come mezzo di pressione e ricatto?

Talora i datori di lavoro impongono, al lavoratore,(molto più spesso alla lavoratrice per aggirare il divieto di licenziamento in caso di gravidanza e puerperio ) come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni senza data, che quindi può essere poi utilizzata in qualsiasi momento, di fatto ponendo il lavoratore e la lavoratrice  in una situazione di soggezione psicologica e ricatto.

Si tratta di una procedura sicuramente illegittima, in quanto diretta ad eludere norme di legge imperative (e cioè inderogabili)..

Spesso il problema è però quello di dimostrare l'esistenza di una simile lettera di dimissioni, e di impedirne l'utilizzo.

Una strategia potrebbe  essere la seguente: una volta che sia terminato il periodo di prova “regolare”, e dunque l'assunzione sia divenuta definitiva ( nel caso di un raporto di lavoro a tempo indeterminato ), è possibile inviare una raccomandata al datore di lavoro, diffidandolo dall'utilizzare la lettera di dimissioni in suo possesso, in quanto illegittima e non sottoscritta spontaneamente.

A causa  soprattutto delle proteste  dei movimenti femminili che ne richiedevano il ripristino, come elemento di contrasto  dei licenziamenti discriminatori a causa della gravidanza e maternità, la cosiddetta Riforma  Fornero ( legge 92/2012) ha previsto una nuova procedura per rassegnare le dimissioni  con l’obiettivo ( non riuscito ) di contrastare questo fenomeno  e ogni altro tentativo del datore di estorcere dimissioni non volontarie.

L’attuale  procedura a cui viene subordinata l’efficacia delle dimissioni. prevede due modalità differenti, a seconda che le dimissioni siano presentate o meno da lavoratrici/lavoratori che godono delle tutele in materia di maternità e paternità.

In particolare, quando si tratta di dimissioni presentate dalla lavoratrice in gravidanza o dalla lavoratrice/lavoratore durate i primi tre anni di vita del bambino (o di accoglienza del minore adottato o in affidamento), è necessaria la convalida di tali dimissioni da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio: in sostanza, dopo che le dimissioni sono state presentate, le parti debbono convalidarle davanti al Servizio ispettivo del Ministero del lavoratore e la risoluzione del rapporto non può produrre effetti sino a che tale adempimento non venga effettivamente compiuto.

In tutti gli altri casi, affinchè le dimissioni possano produrre effetto, sono previste due alternative:

   > dopo che le dimissioni sono state presentate o dopo che è stata sottoscritta la risoluzione consensuale del rapporto, le parti convalidano l’atto presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competente;

> il lavoratore sottoscrive una dichiarazione in calce alla comunicazione di cessazione del rapporto.

Anche in questo caso, la risoluzione del rapporto è sospensivamente condizionata all’adempimento di una delle due alternative.

Quando tali operazioni non vengano effettuate contestualmente all’atto
, il datore di lavoro può, entro 30 giorni, invitare il lavoratore a presentarsi avanti alla DTL o al centro per l’impiego al fine di far convalidare lo stesso o di far sottoscrivere la dichiarazione di cui sopra.
Se il datore omette di inviare tale invito, le dimissioni o la risoluzione consensuale si intendono prive di effetto.

Successivamente ed entro sette giorni dall’invito, il lavoratore può:

>aderire ad esso e rendere efficace la risoluzione del rapporto di lavoro;

   > non aderire all’invito: in questo caso, il rapporto si intende comunque risolto;

>revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale (anche in forma scritta). In tal caso, il rapporto prosegue, ma il lavoratore non matura alcun diritto retributivo nel periodo intercorso fra le dimissioni e la revoca se, durante lo stesso, non sia stata svolta alcuna attività lavorativa.

Il mio  superiore  mi ha anticipato la   decisione già presa dalla direzione  di  licenziarmi a breve per motivi di ridimensionamento degli organici , mi ha proposto in alternativa di  rassegnare le dimissioni. Che cosa mi conviene fare ?

NON DARE MAI LE DIMISSIONI, senza intavolare una trattativa. Anche se vuoi andare via è sempre meglio intavolare una trattativa sulla condizioni delle dimissioni
Quel che più conta però è che il licenziamento può essere impugnato avanti il Giudice del lavoro, mentre le dimissioni, salvo casi eccezionali, no.

Questo significa la possibilità di far verificare al Giudice che effettivamente sussistessero le ragioni che hanno portato al licenziamento (che in molti casi si rivelano, al vaglio della Magistratura, insussistenti). Nel suo caso si tratterebbe di accertare l’esistenza di un giustificato motivo oggettivo.

Nel caso in cui fosse esclusa la legittimità del licenziamento, al lavoratore- qualora si trattasse di aziende di più di 15 dipendenti- spetterebbe la tutela prevista dall’ art. 18 Statuto dei Lavoratori che- a seguito della Legge Fornero – , prevede quattro differenti forme di tutela a seconda del vizio da cui il licenziamento illegittimo è caratterizzato(per maggiori approfondimenti su questo punto, si veda il box  Licenziamento Individuale).

E' possibile revocare le dimissioni?


E’ molto complicato revocare le proprie dimissioni, perché occorre dimostrare che la tua volontà è falsata da errore o violenza. Occorre però ricordare che come detto prima la legge fornero chide che le dimisisoni siano convalidate alla DPL

Cosa si intende per dimissioni per giusta causa?

Il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni in tronco o senza preavviso, quando si sia verificata una causa che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.

La giurisprudenza ha riconosciuto le ipotesi di “giusta causa” facendo riferimento a gravi inadempimenti del datore nell’ambito del rapporto di lavoro (es. omessa corresponsione della retribuzione, omesso versamento dei contributi previdenziali, molestie sessuali, dequalificazione professionale);

in tal caso, proprio perché il recesso è stato determinato da un fatto colpevole del datore di lavoro, il lavoratore che recede per giusta causa conserva comunque il diritto a percepire l’indennità sostitutiva del mancato preavviso, nel caso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Tale indennità spetta al lavoratore per motivi di equità, ossia a titolo di indennizzo per la mancata percezione delle retribuzioni per il periodo necessario al reperimento di una nuova occupazione, tenuto conto che l’interruzione immediata del rapporto è, in realtà, imputabile al datore di lavoro.

Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiuti così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.

Il lavoratore deve consegnare o inviare con tempestività la lettera con cui comunica la sua volontà di dimettersi per giusta causa, e cioè subito dopo il verificarsi della causa che ha reso impossibile la prosecuzione del rapporto. Tale comunicazione non necessita di specifiche formule, ma deve comunque fare riferimento alla giusta causa che ha determinato il recesso.

Normativa

  • Codice civile
  • Contratto collettivo di lavoro
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99

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